TOLSTOJ & MICHELINA

Sembra Pingitore invece è Edoardo Erba. Sembra Jerry Calà e invece è Alessandro Benvenuti. E’ prosa d’autore ma lo stile è quello del Bagaglino.
“Michelina”, la commedia musicale che ha chiuso martedì la Stagione di Prosa del Teatro Stabile dell’Umbria, è uno spettacolo che riesce a tirare fuori il peggio da un gruppo di grandi artisti: uno dei pochi, grandi commediografi contemporanei (Erba), un attore che anche quando fa – come in questo caso – il regista, riesce a dosare bene comicità e qualità (Benvenuti) e una coppia esplosiva e affidabile come il dinamico Giampiero Ingrassia e l’adorabile Maria Amelia Monti; difficile capacitarsi del fatto che nomi di questo calibro siano riusciti a partorire uno spettacolo che parte ‘leggerino’ e poi diventa triviale, fastidioso, persino imbarazzante. E, per una volta, fa rimpiangere di non essere rimasti a casa a guardare una fiction. Una qualsiasi.

Eppure l’idea – che copia e frulla insieme “Riso amaro”, “La strada” e “Uccelli di rovo” facendone avanspettacolo – in fondo non era neanche male.

Siamo nel 1948 e Arturo Bonaria, uno sgangherato cantante che gira le balere di terz’ordine, si ritrova senza soubrette e decide di assumere una mondina bella, ingenua e sempliciotta: Michelina, appunto. Intanto in Vaticano due cardinali sono a caccia di un miracolo che permetta la canonizzazione di suor Ercolina Corbella e fornisca alla Chiesa un’arma in più contro il comunismo. L’unica che può aiutarli è proprio Michelina che finirà – però – per innamorarsi di uno dei due prelati.

Scritta, diretta e interpretata con garbo poteva diventare una commedia gradevole e originale. E allora è davvero un peccato che l’autore spinga sul pedale della volgarità, il regista scelga il linguaggio della farsa e gli attori regalino al pubblico un’interpretazione da commedia dell’arte. Il risultato trasforma Martufello in un umorista elegante e raffinato e Pippo Franco nel campione del teatro colto.

La Chiesa e la religione vengono messe in ridicolo nel modo più becero e anche ignorante (i due protagonisti sono cardinali ma indossano la veste da vescovo, le procedure di canonizzazione e i titoli di prelati e congregazioni sono completamente inventati). Davvero si stenta a credere che l’autore di questa farsa grossolana sia quello del geniale “Animali della nebbia” che tre anni fa riusciva a giocare con tema del sacro in modo al tempo stesso esilarante, tragico e rispettoso.

Per farsi un’idea del tipo di sketch proposti dal musical, basti pensare che l’anziano cardinale, seriosissimo fino al termine dello spettacolo, durante il balletto finale si solleva la tonaca e mostra un risvolto interamente coperto da pailettes mentre la protagonista, saputo che il suo amato cardinale ha avuto un incidente, si premura di far capire al pubblico che quel che conta è che non abbiano subito danni le parti basse. Così per due ore, tra doppi sensi, canzonette, finti spogliarelli e metateatro, con chiese che diventano palcoscenici e baldacchini che si trasformano in sipari. Insomma, non è stato esattamente un finale in grande stile per il teatro comunale “Verdi”, destinato adesso a restare chiuso ben due anni per una radicale ristrutturazione.

E se Terni si è affidata, per la chiusura della stagione, all’avanspettacolo, Amelia ha proposto un’altra prima nazionale: “Casa Tolstoj”, con cui Dacia Maraini ha selezionato e mescolato i passaggi più significativi dei diari del grande scrittore russo e di sua moglie Sofia, che la regia di Dominick Tambasco ha affidato ai talenti di Monica Guzzino e Renato Campese. Siamo agli antipodi rispetto a “Michelina”, ed è paradossale se pensiamo che la stagione teatrale ternana è gestita da un’istituzione come il Teatro Stabile dell’Umbria e quella amerina da una società privata (quindi con finalità commerciali) come Athanor.

“Casa Tolstoj”, attraverso l’incrocio di due monologhi, racconta il privato di uno dei giganti della letteratura mondiale attraverso la storia del suo lungo matrimonio, dal primo incontro (quando lui ha 35 anni e lei appena 19) fino morte di lui, attraversando tutte le fasi di una tormentata e passionale storia d’amore: i figli, le gelosie, la collaborazione nella stesura dei romanzi, i tormenti carnali e quelli spirituali, le liti furibonde e i puntuali ritorni di due persone che arrivano anche ad odiarsi, ma non possono fare a meno l’una dell’altra.

Uno spettacolo radicalmente opposto a “Michelina” anche nella resa: perché se aveva tutti i presupposti per diventare il classico “mattone” (due soli attori in scena senza dialoghi, senza intervallo, con luci basse e pochissime musiche), la bravura degli interpreti e l’intensità del racconto riescono a trascinare lo spettatore in un duello amoroso che colpisce per la straordinaria attualità e non può evitare di coinvolgere, emozionare e commuovere.

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