Mi piace litigare

A me piace litigare. Non credo nell’ipocrisia e nemmeno nel rancore, quindi litigare lo considero un esercizio di dialettica, di sincerità, una forma di pulizia da incomprensioni, differenti vedute, piccoli e grandi torti.

Più tempo passa, però, più mi rendo conto – e qualche sociologo dovrebbe spiegarmi perché – che viviamo in una società sempre più permalosa non è più in grado di sostenere un confronto schietto e animato. Mi rendo conto che ogni giorno mi faccio nuovi nemici, su tutti i fronti: sia su quello umano che in ambito politico e professionale finisco sulla Lista Nera di sempre più persone. Gente che non mi ha perdonato uno sfogo, una denuncia pubblica, una rivendicazione, un’opinione espressa con troppa veemenza, l’aver scavato nella cattiva coscienza.

Se bastasse non fare torto a nessuno, per non farsi nemici, basterebbe stare attenti a non fare torto a nessuno. Ma come diceva Montanelli, in Italia non ti perdonano nemmeno se lo subisci, un torto.

Non credo sia un problema solo mio. Viviamo in un mondo dove le coppie si separano per un dentifricio e i vicini si ammazzano perché il cane abbaia troppo forte, in cui le alleanze politiche si reggono solo sul ricatto e sugli interessi personali, in cui le maestre non possono più sgridare i bambini. Ho la netta l’impressione che ce ne stiamo tutti nel nostro angolino con il fucile spianato con la paura che qualcuno possa non solo invadere il nostro spazio, ma anche solo mettere in discussione le nostre certezze.

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