2018

Essendo un inguaribile anticonformista, mentre tutti il bilancio dell’anno passato lo fanno quando è ormai agli sgoccioli, io – come ormai tradizione – lo traccio a un mese dalla sua conclusione. Potrei dire che devo guardarlo un po’ da lontano per vederlo tutto intero, ma è solo una scusa. In realtà è che più sono le cose da scrivere, più prendo tempo per scriverle.

Anche questo anno iniziato a Bruxelles e concluso a Nazareth, questo anno avviato con la morte di un carissimo amico e concluso tra molte ansie ed angosce, questo anno sempre in volo, questo anno di trionfi e di disfatte, di grandi delusioni e grandissime soddisfazioni, è stato un anno davvero un anno pieno di cose. Un anno importantissimo e non è facile tracciarne un bilancio in poche righe; oltre alle tradizionali tematiche, quest’anno una chiave di lettura potrebbero essere gli anniversari: perché il 2018 è stato l’anno degli anniversari, ma soprattutto dei decennali.

In viaggio, in volo.

Vent’anni fa – nel 1998 – ho fatto il mio terzo viaggio all’estero, e il secondo da solo, in Francia, a Taizé. Lì ho conosciuto una delle persone più importanti della mia vita: una sorella con cui ho vissuto sempre un rapporto di alti e bassi e soprattutto di distanze, ma che a distanza di vent’anni continua a rivestire un ruolo importantissimo, basti dire che è stata lei a presentarmi la donna che mi ha reso beato.

Dieci anni fa – nell’inverno del 2008 – ho viaggiato per la prima volta in aereo. Un’esperienza traumatica e forzata, ma che mi ha davvero cambiato la vita: se fino a quel momento il fatto di viaggiare ostinatamente solo in pullman o in treno mi aveva limitato molto, da quel momento sono diventato un globe trotter, dimensione cresciuta in modo esponenziale da quando sto con una donna che non riesce a stare ferma per più di una settimana.

E così, a dieci anni dal mio primo volo, quest’anno – di voli – ne contati almeno 24.

D’altra parte, come il suo predecessore, anche il 2018 è stato un anno che mi ha visto in viaggio per 10 mesi su 12. Questa volta, però, con ben due viaggi intercontinentali, in Asia. Ho inoltre battuto il mio personale record di “conquista del mondo”: se finora il massimo di nuovi paesi visitati era stato di 4 nel 2010 (Irlanda, Spagna, Regno Unito e Albania) quest’anno sono arrivato a 5.

Gennaio, come detto, è iniziato a Bruxelles, in Belgio; a febbraio c’è stata la Polonia (per l’undicesima volta al festival di Zamosc) con una sortita (per la prima volta) in Ucraina; marzo è stato quello del ritorno in India, segnato da vari problemi di salute che mi hanno portato a familiarizzare molto con gli ambulatori di Nuova Delhi (fa un certo effetto essere visitati da un medico che tiene sulla scrivania il santino del dio dalla testa di elefante, ma anche fare le analisi direttamente alla reception) ma anche dalla trasferta di Popoli e Religioni a Goa. Ad aprile c’è stato il ritorno in Polonia, a casa di Krzysztof Zanussi per visionare – primo straniero – il suo nuovo film Eter, successivamente presentato al Terni Film Festival. Maggio è stato uno dei due mesi in cui non sono andato all’estero, a giugno sono tornato in Belgio per il concerto di Jovanotti (il quarto in 22 anni) e a luglio ci sono tornato ancora. Ad agosto, invece, non mi sono mosso da Vacone: perché se viaggi tutto l’anno essere in vacanza significa poter stare, finalmente, a casa.

A settembre c’è stato un viaggio partito dalla Polonia (per un matrimonio) e proseguito in Repubblica Ceca dove ho incontrato il ministro delle finanze che ha voluto conoscermi quando ha saputo che ero lì per scrivere un libro su madre Eletta, e concluso ancora in Belgio, con una sortita (per la prima volta) in Germania, ad Acquisgrana.

A ottobre di nuovo la Polonia per il festival di Breslavia dove, dopo essere stato “special guest” nel 2017, sono stato richiamato come membro della giuria.

A novembre, subito dopo il Terni Film Festival, sono andato per la prima volta in Ungheria, a Budapest, per partecipare al seminario “Holocaust by bullets” mentre a dicembre ho messo piede, per la prima volta – finalmente – in Israele: uno dei viaggi più importanti della mia vita.

Non è mai troppo tardi per farsi un’infanzia felice

A quarant’anni ho iniziato a realizzare i miei sogni di bambino. Ho iniziato nel 2017, quando Beata mi ha regalato per carnevale la maschera dell’Uomo Ragno che sognavo da quando avevo dieci anni. Alla fine di quell’anno, poi, in Casa Casali è arrivato E.T. a grandezza naturale.

Nel 2018 è stata la volta della Coppa del Mondo: se i mondiali della Russia sono i primi ai quali l’Italia non si è nemmeno qualificata da sessant’anni a questa parte, paradossalmente sono stati tra quelli che ho seguito di più. Sarà che mi sono trovato in Belgio proprio mentre la Nazionale avviava il suo percorso trionfale che l’avrebbe portata al terzo posto. E poi visto che io, anticonformista quale sono, tifavo Francia, sono stato felicissimo dell’esito.

Nel 1986, in occasione dei mondiali del Messico, con mio fratello avevamo realizzato una copia della Coppa del Mondo. Che a vederla bene poi, non è che gli somigli troppo, ma era tutto ciò a cui potevamo ambire allora. Nel 2018, proprio a Bruxelles, ho trovato una replica quasi fedelissima, e quel bambino di undici anni si è commosso, quando gliel’ho portata a casa.

Valentino

Tra i decennali del 2018, c’è anche quello di Valentino.

E’ stato nel 2008, infatti, che ho iniziato a lavorare su questo personaggio, scrivendo il soggetto per quella che avevo pensato come fiction televisiva e che solo dopo tre anni ha preso la forma di un romanzo. Penso sinceramente che questo anniversario non avrei potuto festeggiarlo meglio.

Il giorno di San Valentino ero ancora una volta a Bussolengo come ospite d’onore, e ho ricevuto tre grandi regali: due articoli di Miriam Diez Bosch su Aleteia, in inglese e in spagnolo, che parlano di san Valentino a partire dal mio libro. Il secondo è stata la canzone scritta da Marialuna Cipolla e ispirata al mio romanzo, che io non sapevo nemmeno Marialuna avesse letto. Io sono un grandissimo fan di Marialuna, e dico la verità: per me è come se l’avessero fatto Bono, Carmen Consoli o Chris Martin. Il terzo è stato l’arrivo, proprio quella sera, di Beata a Bussolengo. Non ho mai identificato la festa di san Valentino con l’amore. In adolescenza per snobismo e per sfiga (avendone passata di fatto una sola con una fidanzata); negli ultimi dieci anni perché sono impegnato più a lavorare sul personaggio di Valentino che a fare il romanticone. Poter sposare le due cose, è senza dubbio la cosa più bella, e mi è capitato rarissimamente. Quest’anno è stata una di quelle rare volte.

Nel corso dell’anno ho anche ricominciato a scrivere il seguito/non seguito dal titolo di lavorazione La maledizione della dea. L’ho iniziato nel 2015 e non essere riuscito a finirlo è stato un fallimento, eppure continua a sembrarmi un libro bellissimo, quindi latore di nuovi entusiasmi e aspettative.

A maggio sono tornato in Veneto perché grazia al sindaco di Bussolengo è stata realizzata una panchina degli innamorati ispirata al mio libro al Parco Sigurtà di Valeggio, dove – qualche tempo dopo – è arrivata con il marito nientemeno che Noa.

Se la mancata riconferma di Paola Boscaini a sindaco di Bussolengo è stata una delle cose più brutte che siano accadute in questo anno passato, la commissione – da parte del nuovo assessore alla cultura e al turismo di Terni – di un libro su san Valentino, è stata una delle più belle.

Erano dieci anni che volevo scrivere Sulle tracce di Valentino. Lo stesso Segreto del Santo innamorato era partito con l’intenzione di fare una biografia del santo degli innamorati; poi il progetto mi è decisamente sfuggito di mano ed è diventato un romanzo sul giovane Valentino; proprio per questo da quando è uscito io meditavo su un libro di saggistica dedicato all’approfondimento di questo personaggio e delle sue leggende. Poterlo finalmente fare e su richiesta nientemeno che del Comune di Terni, lo confesso, è stata una grande soddisfazione.

Il giullare di Assisi

E curioso come nello stesso anno e nella stessa estate – quella del 2008 – siano nati entrambi i progetti letterari che rappresentano le cose più significative che ho scritto e sui quali non mi sono ancora stancato di lavorare. Entrambi, peraltro, sono dedicati a santi: Valentino e Francesco.

Nel 2008 ho progettato infatti uno spettacolo teatrale su Francesco d’Assisi che poi ho scritto nel 2009 e messo in scena per la prima volta nel 2010.

L’anniversario è stato onorato degnamente: nel 2018 Il giullare di Assisi è tornato in scena come secondo atto della collaborazione con un gigante della musica contemporanea come Fabrizio De Rossi Re (il primo è stato in estate, con il recital Passaggio in India tratto dal mio reportage per Piediluco in musica), come anteprima del Terni Film Festival.

L’entusiasmo per questo nuovo progetto (e delle prospettive che ha generato) mi ha portato a tornare a scrivere, dopo cinque anni, un nuovo episodio: un episodio che, peraltro, vagheggiavo già da molti anni, dedicato alla cauterizzazione.

Da laureato in storia a storico

Nel 2008 mi sono laureato in storia medievale, dopo 14 anni di università di cui dieci fuori corso. Sì, sono stato un po’ lento. Ma c’è chi mi ha battuto: Enrico Brizzi, il mio scrittore preferito e mio coetaneo, si è laureato, credo, un paio di anni fa mentre Luigi Accattoli, tra i più grandi vaticanisti italiani lo ha fatto a sessant’anni.

D’altra parte posso giustificarmi anche io dicendo che proprio quando stavo per finire gli esami ho iniziato a fare il giornalista e il tempo da dedicare allo studio è stato sempre più difficile da trovare per uno studente-lavoratore.

La cosa interessante, è che proprio dieci anni dopo quella laurea in storia medievale ritardata dalla professione giornalistica, sono diventato contemporaneamente giornalista professionista e storico medievista.

Sì, perché non basta certo una laurea per potersi considerare uno storico. E io per dieci anni sono stato di fatto un giornalista professionista laureato in storia medievale. Nel corso del 2018 sono avvenute una serie di cose che, pur non avendo fatto carriera universitaria, mi accreditano – in qualche modo – come uno “storico vero”: la prima è la collaborazione con il mensile Medioevo, che è stato anche un sogno realizzato, visto che quella rivista avevo iniziato a leggerla proprio negli anni dell’università. La seconda è la pubblicazione di un saggio su una rivista accademica: Antonianum. La ciliegina sulla torta – per quanto frivola – è stata infine l’intervista che ho rilasciato, in quanto “medievista”, al mensile Focus Storia.

La cosa più significativa, poi, è che il saggio per Antonianum non è altro che una sintesi della mia tesi di laurea sull’Umorismo in Francesco d’Assisi, che ho elaborato e consegnato ad aprile, esattamente a dieci anni dalla discussione della tesi.

In questo caso si tratta di un traguardo tagliato addirittura dopo 21 anni: era il marzo del 1997 e avevo sostenuto appena cinque esami quando chiesi alla professoressa Edith Pasztor quando avrei potuto chiedere la tesi.

“Quando vuole – mi disse – anche subito”.

“Allora la chiedo: vorrei farla sull’Umorismo in Francesco d’Assisi”

“Geniale – fece lei – poi dovrà assolutamente pubblicarla”.

Ci ho messo 11 anni a completare quella tesi. E dieci anni per pubblicarla. Il mio sogno è ancora quello di farne un libro, ma finalmente – dopo vent’anni che ne parlo – quando qualcuno mi dirà: “Vorrei leggerla” saprò cosa rispondere.

In questo aprile così cruciale, quest’anno, ho anche fatto il corso di Fiuggi e la prova scritta dell’esame per diventare giornalista professionista.

Da giornalista pubblicista a professionista

E’ stata una storia ancora più lunga di quella universitaria: il mio debutto in edicola risale al 1999, con “Adesso”, due anni dopo ho iniziato a fare la professione giornalistica e nel 2003 mi sono potuto iscrivere ufficialmente all’Ordine dei giornalisti come pubblicista.

Nel 2004, diventando di fatto un vero e proprio redattore del Giornale dell’Umbria, avrei maturato il diritto al praticantato e – di conseguenza – a diventare giornalista professionista. Ma siamo in Italia, e nei fatti sono stato costretto ad un abusivismo durato più di dieci anni e conclusosi con una mail di licenziamento pochi mesi prima che il quotidiano chiudesse.

Intanto, dal momento in cui nelle mie condizioni c’erano buona parte dei cronisti italiani, l’Ordine dei Giornalisti – nel 2014 – ha promosso una sorta di sanatoria per riconoscere il praticantato a tutti i giornalisti che la professione l’hanno praticata davvero. Alla fine dell’anno avevo deciso di giocarmi questa carta e nel 2015 avevo fatto tutti i documenti per poter sostenere l’esame. Poco dopo aver ricevuto la mia pratica, però, il presidente dell’Ordine dei giornalisti dell’Umbria si è ammalato ed è morto in tre mesi. La mia pratica è stata completamente riesaminata e – infine, dopo ulteriore documentazione richiesta – finalmente approvata. Comprati i costosissimi libri, nel 2016 ho iniziato a studiare; visto che appena chiusa la pratica avevo perso il lavoro e mi sono dovuto mettere in cerca di altro, quell’anno ha segnato anche l’inizio della mia nuova vita professionale da free lance frenando il percorso di studi, ripreso solo (e dietro minaccia, da parte dell’Ordine, di estinguerlo) alla fine del 2017. Il 2018 è stato quindi, tra le tantissime altre cose, un anno in gran parte consacrato allo studio da giornalista professionista: ed è stato fantastico. Non mi è mai piaciuto studiare, ma mi piace sempre di più imparare. Questo esame mi ha costretto ad imparare cose di cui, in vent’anni di professione, non mi ero mai occupato e di cui ero totalmente ignorante: diritto penale e diritto costituzionale, per esempio.

Il corso di Fiuggi è stata una meravigliosa esperienza non solo per quello che ho imparato, ma anche sotto il profilo umano, perché confrontarti con colleghi di ogni parte d’Italia che sono nella tua stessa condizione è davvero bello. L’esame è stato terrore allo stato puro sfociato in un entusiasmo incredibile, perché entrambi gli articoli che avevo scritto (Sorrentino e cannabis) riguardavano tematiche che mi appassionano e di cui mi sono molto occupato, quindi è stato davvero l’esame ideale, praticamente perfetto, con articoli che – lungi da essere mere esercitazioni – avrei potuto e voluto pubblicare. Insomma un’esperienza davvero fantastica. Anche sotto il profilo umano, perché sono nate bellissime amicizie. Peccato solo che mi hanno bocciato.

L’ho saputo – in modo davvero grottesco – mentre ero in Veneto a inaugurare la panchina degli innamorati del parco Sigurtà ispirata al mio romanzo su san Valentino: un momento fantastico rovinato da quella notizia.

Ho provato la stessa rabbia e la stessa incredulità che avevo provato dieci anni prima, il giorno della discussione della tesi. Una discussione perfetta, in cui ero riuscito a tenere testa a veri e propri tranelli tesi dalla commissione, e che pure – alla fine – si era conclusa con un 110 senza lode.

Quella lode mancata non mi è mai andata giù, perché non è mai stata motivata. Nessuno ha potuto quindi togliermi il sospetto – se non la certezza – che quella ciliegina mi sia stata tolta dalla torta non per demerito ma per questioni di politica accademica – diciamo così – che poco fanno onore alle nostre università. Insomma, mi ero sentito vittima di un’ingiustizia, per quanto lieve (“Che se ne fa, lei, della lode? E’ un giornalista affermato, non deve fare carriera accademica” mi rispose il mio relatore, lasciando intravedere le motivazioni di quella decisione).

La stessa rabbia l’ho provata nel vedermi recapitare il testo di quegli articoli senza nemmeno una correzione eppure valutati con l’insufficienza.

Mi sono rivolto a tutti i giornalisti più autorevoli che conosco e nessuno è stato in grado di capire a cosa fosse dovuta la bocciatura. Infine, ho mostrato quel compito anche allo stesso Ordine nazionale dei giornalisti, nel corso di un incontro organizzato proprio per i “ripetenti”. Quello che mi sono sentito rispondere è: “Avresti potuto fare ricorso. Questo è un compito perfetto. Siamo profondamente in imbarazzo”. Insomma, se sono stato bocciato è stata colpa della commissione: questo mi sono sentito rispondere, e con questa rabbia e al tempo stesso totale sfiducia che ho affrontato per la seconda volta la prova scritta, il 30 ottobre.

Beh, a questo stato d’animo bisogna aggiungere anche che questa volta sono arrivato all’hotel Ergife senza aver studiato minimamente e senza essere minimamente concentrato, visto che il giorno dell’esame era anche quello in cui doveva andare in stampa il programma del Terni Film Festival, unico mio pensiero in quei giorni.

Il risultato non poteva che essere un compito assolutamente mediocre, scritto senza passione e con diversi errori di cui io stesso mi sono accorto.

Ebbene, stavolta sono stato promosso. E anche questa volta l’ho saputo in viaggio, mentre ero a Budapest per il convegno sull’olocausto.

Il resto della storia non ve la racconto, perché sfora nel 2019, visto che l’orale, poi, l’ho fatto il 16 gennaio. Posso solo dire che per mesi mi sono chiesto cosa presentare come tesina: i due principali candidati erano “La rivoluzione di papa Francesco” e “Il mistero di San Valentino” anche se nel corso dell’autunno si era affacciato timidamente qualcosa su giornalismo partecipativo e fake news.

Dopo due giorni in Israele, però, ho deciso che non potevo che fare un reportage da quel viaggio. Ma sono arrivato fino al tavolo della commissione con il terrore di aver fatto la scelta sbagliata.

L’anno dei tre mensili e dei tre libri

Se il 2018 è stato l’anno in cui mi sono ritrovato – in agosto – su ben tre mensili nazionali (BenEssere, Medioevo e Focus Storia) è stato anche l’anno dei tre libri: uno che ho pubblicato, uno che ho scritto e uno che mi è stato commissionato.

Come scrittore non sono molto prolifico: ho pubblicato il mio primo libro, auto-stampato, a 34 anni e di media fino ad oggi ne ho pubblicato uno ogni due anni. Quest’anno, inaspettatamente, mi è capitato di progettarne ben tre, e tutti su commissione.

All’inizio dell’estate, del tutto casualmente è arrivato quello su Madre Eletta: mi era stato chiesto di collaborare alla realizzazione di uno spettacolo su questa monaca carmelitana ternana che nel Seicento ha fondato tre monasteri in giro per l’Europa.

Mi ero occupato di lei tanti anni fa, per una serie di articoli scritti sul Giornale dell’Umbria: la prima cosa che ho fatto è stato portare alle Carmelitane di Terni quelle tre pagine di giornale. La reazione è stata così entusiasta che le suore hanno deciso di pubblicare in un volumetto quegli articoli. A quel punto ho chiesto di poterli prima rivedere e integrare. Poi la cosa ci è sfuggita di mano: le integrazioni hanno costituito quasi metà del libro, poi sono andato anche a Praga e insomma è venuto fuori un libro vero e proprio, per quanto breve, che è uscito durante il festival.

Nel frattempo, a luglio, il mio vecchio amico Andrea Giuli – con cui ho lavorato gomito a gomito per 15 anni al Giornale dell’Umbria – è diventato assessore alla cultura del Comune di Terni e mi ha chiesto di dargli una mano a rilanciare la figura di San Valentino. Gli ho preparato un progetto molto ampio in cui – tra l’altro – stigmatizzavo la mancanza di un libro che potesse raccontare in modo completo la figura di San Valentino. E lui mi ha chiesto di scriverlo.

Così appena uscito Madre Eletta mi sono messo al lavoro su questo ambiziosissimo progetto su San Valentino; nel frattempo vengo contattato da un editore di Perugia che dice di essere rimasto molto colpito da un mio articolo su Procolo (successore di San Valentino) che ho definito “Santo zombie” e mi commissiona un libro dedicato proprio ai “Santi zombie”.

E insomma ho concluso l’anno promuovendo un libro, scrivendone un altro e progettandone un terzo.

Difficile contare, poi, quelli che ho letto e presentato: mai cosi tanti. I più importanti sono stati senza dubbio quelli di Antonio Fresa, Paola Biribanti, Elsa Flacco, Christian Cinti & Michela Serangeli e Mario Pirovano.

La politica: vincere due volte le elezioni e perdere ogni speranza

Il 2018 è stato un anno particolarmente sofferto sotto il profilo politico. L’anno più triste, più amaro. E paradossalmente, è quello in cui le elezioni le ho vinte due volte.

Dopo oltre vent’anni di militanza nel Movimento Cinque Stelle (per me comincia dal momento in cui Beppe Grillo è diventato il mio principale referente politico, nel 1996) quest’anno, come sapete, abbiamo vinto le elezioni. Io mi ero già allontanato molto, perché il tradimento degli ideali con cui il M5s era nato non comincia certo nell’alleanza con la Lega. Ma direi che in questi mesi di governo abbiamo davvero toccato il fondo, arrivando a ribaltare completamente tutti i nostri valori: eravamo contrari alle alleanze, già: talmente contrari che anziché allearci con la Lega abbiamo preferito sottometterci completamente. Abbiamo rivendicato per due decenni competenze e meritocrazia e finito per mandare all’Unesco Lino Banfi. Abbiamo avuto come slogan “nessuno deve rimanere indietro” e come ispiratore Alex Zanotelli (nel 2000 ho incontrato Beppe Grillo al Giubileo degli oppressi di Verona) e ora siamo totalmente lanciati in politiche contro i poveri e gli immigrati. Abbiamo difeso la legalità e ora ci prepariamo a sostenere l’immunità per Salvini.

No, non c’è bisogno che io aggiunga altro.

A Terni il M5s è un perfetto specchio di ciò che avviene a livello nazionale. Trovandomi dunque alle elezioni un avvocato leghista mio coetaneo, persona estremamente pacata e civile, che per tutta la campagna elettorale ha tenuto un profilo basso, rifiutandosi anche solo di difendersi dalle accuse di fascismo e – sul versante opposto – un grillino ambizioso e immaturo, che dopo aver contribuito alla mia emarginazione dal M5s, ha confermato anche in campagna elettorale la sua aperta ostilità nei miei confronti, tanto da arrivare ad offrire l’assessorato alla cultura ad un mio collega di Forza Italia (lo stesso scelto poi dal sindaco della Lega!) e mettere il futuro di San Valentino nelle mani di un professore piddino che cinque anni fa organizzò una tavola rotonda contro il M5s, mentre – nel frattempo – faceva leva sul più becero antifascismo per raccogliere consensi post-comunisti, mancando evidentemente di qualsiasi altra argomentazione contro il rivale, trovandomi in una situazione simile – dicevo – e con tutto ciò che stava accadendo a livello nazionale, ci sarebbe voluto davvero un gran coraggio a votare ancora il Movimento. Così ho scelto l’avvocato leghista. E nei primi mesi di mandato, sono stato felicissimo e orgoglioso della mia scelta: al di là dell’amicizia personale, la stessa scelta, come assessore alla cultura e addirittura vicesindaco di Andrea – un poeta e un giornalista che non fa politica attiva da vent’anni – era un segno civico fortissimo. Così come lo sono stati i primi gesti.

Poi, a partire dall’autunno, la sciagurata conversione da sindaco di Terni a sindaco della Lega, sempre più lontano dai cittadini e con politiche sempre più orientate a sostenere le scelte di Matteo Salvini.

La speranza è sempre l’ultima a morire, ma per ora – lo devo ammettere – la disillusione e la depressione sono alle stelle.

La casa

Il 2018 è stato il primo anno vissuto tutto a Vacone, è stato il primo vissuto con la nuova arrivata di casa Casali: la cagnetta Bea Browny Castagna. E’ stato l’anno del trasloco: anche se, come sempre, mi sono preso tempi lunghi. Il trasloco non l’ho ancora fatto, ma ho trovato casa, deciso di dividerla con un amico, iniziato a lasciare quella vecchia. Anche se alla fine il primo trasloco della mia vita, lo faccio di pochi metri. Ma la casa, quella vera, si chiama Beata. E’ mai come quest’anno è stata così accogliente.

Molte amarezze mi sono invece arrivate anche sul fronte delle amicizie: il 2008 è stato un altro decennale, sotto questo profilo, ma pare da questo punto di vista, l’anniversario abbia celebrato più che altro la chiusura definitiva di un ciclo.

Il festival e il premio “Ambasciatore di libertà”

Il festival Popoli e Religioni, ancora una volta, è stata l’edizione più bella, più grande, più magniloquente. Ma anche tanto, tanto sofferta, sotto tutti i punti di vista: dalle delusioni amarissime arrivate anche qui da più fronti, alla fatica immane, ai fondi sempre più ridimensionati, l’indifferenza – se non ostilità – della nuova amministrazione comunale su cui tante speranze avevamo investito.

Ma più che dalle delusioni è stata senza dubbio un’edizione segnata dai successi, dalle tante nuove collaborazioni, dal tantissimo pubblico, e non sto qui a parlarne perché non c’è cosa quest’anno di cui abbia parlato di più.

Senza dubbio, se da una parte sono sempre più stanco e vorrei lasciare la direzione artistica, dall’altra mi rendo conto come il festival – tra tutte le cose che faccio – sia quella che più mi identifica, interiormente e pubblicamente. E’ mio figlio e io sono suo figlio.

Quest’anno poi, proprio grazie al festival, mi è arrivato un premio. E io non sono abituato a ricevere premi: me lo hanno assegnato gli organizzatori del festival di Breslavia, consegnandomelo a sorpresa sul palco del Terni Film Festival, insieme a Paolo Genovese che aveva vinto il festival con The Place.

Si chiama “Ambasciatore di libertà”: ora io so di non aver fatto nulla, nella mia vita, per meritare un premio. Tranne, forse, essere libero. Perché il prezzo della libertà l’ho sempre pagato e continuo a pagarlo. E allora questo premio me lo prendo volentieri.

Il Papa

Il 2018 ha segnato anche il secondo incontro con papa Francesco. Molto diverso dal primo: rispetto al 2014 è stato più inaspettato, ma altrettanto emozionante. Anche perché, stavolta, non ero solo.

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