TUTTA LA VITA DAVANTI

isabella

Sono finalmente andato a vedere Tutta la vita davanti. Mi sono divertito, mi sono commosso, mi sono sdegnato, mi sono incazzato.

Mi sono ritrovato quasi completamente nel racconto di un caro amico che per un periodo ha lavorato nei call center, ma anche nelle condizioni di tanti precari. E mi sono anche sentito un privilegiato, perché anche se sono anche io un precario sotto pressione e senza diritti, non solo non mi sono mai trovato in situazioni così alienanti, ma ho la possibilità di fare un lavoro che mi piace moltissimo, e che davvero posso considerare un lavoro solo perché devo farlo anche quando me ne starei volentieri a casa a dormire o a cazzeggiare, perché altrimenti non avrei nemmeno il coraggio di chiamarlo lavoro e sarei piuttosto costretto ad ammettere che vengo pagato per coltivare le mie passioni.

C’è bisogno di film così. C’è bisogno di parlare di questi argomenti.

La seconda considerazione non ho potuto evitare di farla sulle ragazze. In un momento in cui la mia stima nei confronti del genere femminile non è proprio ai massimi storici, il ritratto (temo abbastanza veritiero) che questo film fa delle ragazze mi dà il colpo di grazia.

Basti dire che, a mio avviso, il modo con cui la protagonista – bella e intelligente – si rapporta con gli uomini è anche peggiore di quello della sua amica che finisce a fare la prostituta.

Infine, Virzì, che non si smentisce. Ovvero, diventa sempre più prevedibile.

Nel senso che Tutta la vita davanti è proprio un film di Virzì: bello, divertente, ma con profili umani tagliati con l’accetta, gli stereotipi, le caricature, i ggggiòvani, le comparsate degli amici attori e registi, gli schemi drammaturgici che si ripetono, il finale dolceamaro, i protagonisti "puri" ma senza ideali che si scontrano con un mondo cinico e immorale, e un fondamentale qualunquismo di ritorno. Di ritorno dalla commedia italiana di Alberto Sordi. Perché Virzì è di sinistra e politicamente corretto, ma sempre qualunquista rimane.

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