THE AMAZING SPIDER-MAN

Chiariamo subito una cosa: io non sono un fan dell’Uomo Ragno. Io sono L’Uomo Ragno.

Non guardate la panza e i capelli radi & brizzoladi. E’ il fumetto, che ormai non mi rappresenta più. Continuano a ritrarmi eterno ventenne. Ma sono io, ve lo assicuro.

Timido, impacciato, castano e occhialuto. Da adolescente un genietto dall’apparenza di sfigato. Poi reporter eterno precario. Vita sentimentale intensa ma tormentata.

Peter Parker, sono io, ve lo assicuro.

Non c’è niente di strano, dunque, che sin dalla più tenera infanzia, io abbia snobbato tutti i supereroi – a partire dal quel cazzone di Superman e quell’aristocratico di Batman – e sia sempre rimasto fedele solo e soltanto a Spider-Man, L’Uomo Ragno.

Ho iniziato a leggere i fumetti a sette-otto anni. La maschera di carnevale è stato uno dei desideri più coltivati della mia infanzia. Non so quanto l’ho attesa: forse un paio di anni, ma vi assicuro che per me furono un’eternità. Inutile dirvi che la conservo ancora, gelosamente, e di tanto in tanto tento persino di indossarla.

Mia madre mi comprò anche le lenzuola, dell’Uomo Ragno. Quelle le uso poco perché a casa mia ho un letto matrimoniale, ma la federa fa ancora – anche in questo momento – bella mostra di sé sul cuscino.

Smisi di leggere i fumetti perché – a metà degli anni ’80 – smisero di pubblicarli in Italia. Ma continuavo a vedere i cartoni animati e me li registravo. Parlo della prima serie, quella leggendaria degli anni ’60, che in Italia era trasmessa dalla Rete 4 pre-berlusconiana.

Da piccolissimo i miei genitori mi portarono anche al cinema, a vedere la prima trilogia: L’Uomo Ragno, L’Uomo Ragno colpisce ancora e L’Uomo Ragno sfida il drago. Poi l’ho rivista – a quattordici anni – in televisione, e ovviamente ce l’ho registrata e ce l’ho in vhs.

Faceva schifo, dobbiamo dirlo. Nicholas Hammond era semplicemente improbabile, non c’era  – a parte un altrettanto pessimo J. Jonah Jameson – un solo personaggio dei fumetti, né tra gli amici, né tra i nemici. Gli effetti speciali piuttosto ridicoli. E si capisce pure: che per far volare Superman bastava un semplice chroma key, ma per far volteggiare Spidey ci voleva il digitale, e così Hammond si limitava ad arrampicarsi sui muri e a lanciare – ogni tanto – delle orribili tele.

Solo recentemente ho scoperto, tra l’altro, che non si trattava di film realizzati per il cinema, ma di un telefilm prodotto negli Stati Uniti negli anni ’70 e che in Italia fu appiccicato alla bell’e meglio e distribuito al cinema.

L’avevo inserito anche nel mio film adolescenziale, l’Uomo Ragno: The Shit. In fondo il mio personaggio era speculare a lui: un giovanotto sfigato genio della scienza. Solo che lui, anziché diventare un supereroe, diventava una merda.

Il film, quello vero, invece, era stato annunciato sin dal 1989 – sulla scia del successo di Batman di Tim Burton – ma, ahimé, non se ne era saputo più nulla.

Nel 1992 uscì Hanno ucciso l’Uomo Ragno degli 883 e in quell’occasione mi chiesi che fine aveva fatto, il mio amico Peter. Così lo cercai in edicola, e lo ritrovai. Nel frattempo si era sposato, cambiato lavoro, e molte altre cose. Tornai ad essere un lettore entusiasta e fedele.

In fondo, dei personaggi avevo un ricordo molto vago. Da piccolo seguivo i singoli episodi, non la continuity che scoprii, invece, essere più complessa di quella di una soap opera.

Il quindicenne che era stato morso da un ragno radioattivo nel 1962, nel corso degli anni aveva avuto l’evoluzione di un personaggio reale. Infatti, a differenza di tutti gli altri fumetti, che non invecchiano e che chiudono ogni episodio esattamente come l’hanno cominciato, la storia di Peter Parker era lunga 30 anni: Peter si era fidanzato  – e poi lasciato – con la segretaria del Daily Bugle, Betty Brant (ed era il periodo dei cartoni animati). Poi, all’università, c’era stata la storia intensa e romantica con Gwen Stacy, conclusa – tragicamente – con la morte della ragazza. Poi c’era stato il periodo da single, tra la fine degli anni ’70 e gli ’80, e che era quello che ricordavo io. Tra storielle passeggere e la love story con la Gatta Nera, Peter si era messo e lasciato tante volte con Mary Jane. Infine il matrimonio, proprio con Mary Jane.

Poi aveva cambiato costume, scegliendone uno nero, per poi tornare a quello vecchio. Sul piano professionale, dopo aver fatto il fotoreporter per pagarsi gli studi Peter era andato a lavorare all’Università. Tanti dei suoi più cari amici erano morti – da Harry Osborn (figlio di Goblin e secondo Goblin), tossicodipendente, a Ned Leeds (Hobgoblin);  Flash invece era tornato segnato dalla guerra in Vietnam; erano morti anche tanti nemici: i due Goblin, Kraven. Poi ai “cattivi” classici – Lizard, l’Avvoltoio, il Dr. Octupus, Electro, il mafioso Kingpin – se ne erano aggiunti di nuovi, come Venom e Carnage.

In seguito morì persino l’eterna zia May (1996) e Peter e Mary Jane fecero una figlia – May – destinata a diventare la Donna Ragno. La storia più recente ha visto Peter accorrere alle Torri Gemelle subito dopo l’attentato e poi  – nel 2007 –  rivelare pubblicamente la sua identità durante una conferenza stampa, per obbedire ad una nuova legge sulla sicurezza nazionale di George Bush.

Intanto si continuavano a inseguire le voci sul film: per anni (almeno dal 1992 al 1998) si parlò di James Cameron come regista. E fui molto deluso quando seppi che si era messo a lavorare a Titanic. E si era fatta anche qualche ipotesi sugli attori. Io, personalmente, sognavo Jessica Tandy nel ruolo di zia May, Sean Patrick Flannery in quelli di Peter e Jack Nicholson nei panni di Goblin.

Capirete dunque quante aspettative mi ero fatto sul kolossal del 2002 diretto da Sam Raimi e interpretato da Tobey Maguire, Kristen Dust, James Franco e Williem Dafoe.

Con i suoi 10 anni aspettative, posso dire che Spider-Man sia stato il film più atteso della mia vita, insieme a Indiana Jones 4. Ed è stato anche – devo ammeterlo – uno dei rarissimi casi in cui quell’attesa non andò delusa.

Adorai totalmente quel film. L’unica cosa che mi aveva convinto poco era stato il cappuccio (il metti e togli è fondamentale per l’Uomo Ragno, ma il costume era così complicato che toglierlo in modo naturale e realistico era praticamente impossibile per il regista).

Per il resto, Raimi era un fan di Spidey, e nel film si vede: era miracolosamente riuscito miracolosamente a realizzare un bellissimo film restando fedelissimo al fumetto. A parte la tela che esce dai polsi, il film – nello spirito e nei contenuti – era una perfetta trasposizione del fumetto.

Andai a vedere tre volte il film in un mese. Lo amai incondizionatamente e iniziai subito ad aspettare il seguito. Che, purtroppo, per motivi personali non potei andare a vedere al cinema. E in dvd, è inutile, è un’altra cosa.

Il terzo – nel 2007 – fu molto criticato perché metteva troppa carne al fuoco. Ed è vero. Se fossero stati due film anziché uno l’operazione sarebbe riuscita meglio. Ma Raimi è Raimi, Maguire è Maguire.

A differenza di quanto avvenuto con  Superman e Batman, la trilogia di Spider-Man mantenne totalmente inalterato il cast, sia tecnico che artistico. E anche questo contribuì a mantenere alto il livello qualitativo dei film, senza scadere (come era successo con Superman) o stravolgere (come successo a Batman).

L’attesa per Spider-Man 4, quindi, iniziò subito. Tanto più che il terzo capitolo aveva lasciato indizi interessanti su come sarebbe proseguita la storia: l’ingresso del personaggio di Gwen Stacy  che “disturba” la storia con Mary Jane. E – soprattutto – Curt Connors: l’Uomo Lucertola era stato citato nel primo film ed era comparso fugacemente nel secondo. Qui, invece, aveva un ruolo molto più marcato, ed era evidente che sarebbe stato lui, il villain del quarto.

Gli aggiornamenti sulla lavorazione del film avevano confermato la presenza di tutto il cast e la sceneggiatura di un grande come James Vanderbilt.

Capirete dunque che brutto colpo, deve essere stato per un fan di Spider-Man che era diventato anche fan di Raimi-Maguire, quando la Marvel e la Sony hanno – all’improvviso – licenziato tutti e deciso di ricominciare da capo.

Nuovo regista, nuovi attori, nuova storia. Anzi, vecchia. Perché anziché girare il quarto capitolo della saga, i produttori (loro sì, sempre gli stessi) avevano deciso di ricominciare tutto da capo, raccontando – di nuovo – le origini dell’Uomo Ragno.

Che senso ha? – si chiedevano tutti – un riavvio della saga dopo appena dieci anni? D’altra parte è anche la prima volta che si crea, volutamente, un “doppione”: in fondo Superman Returns, anche se con un nuovo cast, si poneva come seguito della tetralogia con Christopher Reeve, mentre il Batman di Christopher Nolan nasce come antefatto di quello di Tim Burton, anche se poi – già dal secondo episodio – ha finito per sovrapporsi alla vecchia serie (anche se – significativamente – il jocker di Heath Ledger non muore, lasciando il campo, quindi a quello di Jack Nicholson).

Avevo apprezzato Andrew Garfield in The Social Network ma di certo non lo vedevo nel ruolo di Peter. Quanto a Webb, a differenza di Raimi per me era un completo sconosciuto. Comprenderete dunque l’ostilità con cui ho affrontato la visione di The Amazing Spider-Man 3d dopo aver accarezzato persino l’idea di boicottarlo.

Se vi dico che è un capolavoro, allora, potete fidarvi. Non superiore alla trilogia di Raimi: questo non riuscirete mai a farmelo dire, ma alla sua altezza, questo sì.

Perché The Amazing Spider-Man di Marc Webb riesce in un triplo miracolo: non solo è un ottimo film, ma è anche totalmente rispettoso sia del fumetto, sia della trilogia di Raimi.

Fedelissimo (come era stato Raimi) alla storia a fumetti, da cui trae tutto senza inventare nulla, riesce anche a non sovrapporsi mai ai tre film con Maguire: d’altra parte i fumetti di Stan Lee (che compare in entrambe le opere!) di materiale ne forniscono a sufficenza per tutti.

Così – ed è questo l’aspetto affascinante dell’operazione – i personaggi secondari della prima trilogia diventano i protagonisti di questa e così via. Curt Connors è protagonista assoluto, Norman Osborn viene appena citato. Gwen Stacy è il grande amore di Peter, non c’è Harry Osborn ma c’è Flash Thompson, e così via.

Gli unici punti fermi – oltre a Peter Parker – sono la zia May e lo zio Ben, straordinariamente interpretati da Sally Field e Martin Sheen. Qui, inevitabilmente, un minimo ci si sovrappone. Ma davvero un minimo. Persino il morso del ragno  è raccontato in modo completamente diverso rispetto a dieci anni fa (ma altrettanto credibile). Ci sono inoltre delle trovate umoristiche (come le chiacchierate al cellulare con il costume addosso) davvero deliziose.

Qualche americanata non manca, ovviamente. Come forse non mancava nemmeno dieci anni fa. Ma è un film da non perdere. Davvero amazing.

Precedente TRA CIELO E TERRA Successivo 19 luglio 1992