NATALE 1915

“O Signore, fa’ di me uno strumento della tua pace”.

Un sibilo improvviso gli fece portare istintivamente la mano sul fucile.

Martino lo imbracciò, si alzò in piedi e si sporse sopra la trincea.

“E la pace? – scriveva Vincenzo a padre Berti – Sarà bene spaventata, la colomba, di questi colpacci!”

Era stata la giornata più terribile della guerra, quella: tutta passata sotto i reticolati nemici, con le pallottole che fischiavano vicino alle orecchie.

Al grido “Savoia!” Lojali si era lanciato all’assalto della trincea nemica seguito dagli altri ed era riuscito ad occuparla. Ma erano stati costretti a ritirarsi subito dopo sotto il tiro delle mitragliatrici. Primo Verdini era caduto sotto il fuoco e mentre accudiva al suo corpo lo stesso Lojali era sfuggito per un pelo a un colpo alla testa.

Mai la notte era stata più attesa, per uscire finalmente da quell’inferno.

Ma adesso tutto era in silenzio. La nebbia fermava lo sguardo sulla terra di nessuno. Quando Martino gli passò accanto, però, Cappelli si mosse di scatto e sembrò nascondere qualcosa nella tasca della giubba.

“Che succede?” disse Martino.

“Nulla – rispose Cappelli sistemandosi la giubba – niente”.

Martino lo osservò: Aveva in grembo un cartolina illustrata. “Olga?” sussurrò. “Sì” sorrise Cappelli imbarazzato, poi riprese in mano la cartolina e tornò a contemplare l’immagine di una coppia di innamorati immersi nei fiori.  C’era scritto: “Inferno: la tua indifferenza. Purgatorio, la tua lontananza. Paradiso, i tuoi baci”. “Così  è per me” aveva scritto la ragazza. “A te solo mi sono attaccata, con te morirò”.

Sull’altro lato, nello spazio per il messaggio, c’era scritto: “Moretto mio, dovevo scriverti una lettera mentre invece scrivo questa cartolina che ci avrai più piacere perché è carina. Ti piace? Ti rimetto questa fotografia, prima di oggi non ho potuto mandartela che non era rifinita, sebbene ritoccata a colori, siamo sempre brutti… ti prego di non farla vedere a nessuno che non potrebbero altro che criticarci, però stai bene, non è vero mio caro? La terrai sempre insieme al tuo portafoglio e bene incartata”.

“Ezio! – continuava – Come mi sento sola. La tua cara compagnia mi rendeva troppo felice: ora sono già 11 giorni che ne sono priva. Che sconforto! Che malinconia! Pensieri costanti e saluti affettuosi”.

Ezio prese la borraccia e versò una goccia d’acqua sopra il francobollo da dieci centesimi, poi lo rimosse. Sotto, nel minuscolo spazio che rimaneva, c’era scritto un altro messaggio: “L’orologio non è ancora fatto. Ti amo tanto”.

Ezio baciò con dolcezza quella carta. Poi la ripose nella borsa, e ne estrasse un’altra cartolina, nuova. C’era raffigurato un ragazzo dai capelli castani, imbrillantinati, il volto glabro, uno smoking nero e una ragazza con indosso una veste marrone decorata a fiori, la testa reclinata nel bacio appassionato di lui che con una mano le sorreggeva la schiena e con l’altra le teneva la mano.

“Verrò a baciarti così?” scrisse sopra al disegno. “Spero presto”.

Poi girò la cartolina e scrisse: “Carissima Olga, sono ancora al solito posto. Stai pur tranquilla che anche questa volta sono fuori. Saprai bene che cosa succede in questo momento. Ci ritroveremo e saremo per sempre felici, non è vero? Per ora abiti i miei saluti affettuosissimi e baci infiniti. Tuo per sempre Ezio. Saluti ai tuoi”.

“Che Natale del cazzo” borbottò Camilli. “Eh, Lojà, quest’anno manco la messa… te toccherà anda’ all’inferno pure a te, amico mio pretino”.

“Come se non ci fossimo già, all’inferno…” commentò Orsini.

“Lascialo stare” fece Martino. Lojali, dal suo angolo, lanciò uno sguardo severo a Camilli e tornò a scrivere la sua lettera al Vescovo.

“Che Natale del cazzo, proprio un Natale del cazzo” ripeté Camilli.

Martino riprese in mano l’immaginetta che gli aveva regalato Auguste, cercando di tradurre la preghiera che c’era scritta.

“Là où il y a de la haine, que je mette l’amour. Là où il y a l’offense, que je mette le pardon”.

Hodie Christus natus est!”

Martino si girò di scatto e vide Lojali, in piedi, che recitava a squarciagola la liturgia della veglia di Natale.

“Ma sei pazzo?! – esclamò Camilli – abbassa la voce!”.

“Hodie Salvator apparuit!”

 

Questa volta Lojali non aveva fiatato; il canto arrivava da lontano: dall’altra parte della terra di nessuno.

“Sono gli austriaci” disse Orsini.

Il volto di Lojali si illuminò. Corse alla trincea e si sporse: “Hodie in terra canunt angeli!” gridò con quanto fiato aveva in gola.

“Laentur archangeli!” risposero subito gli austriaci.

“Avete sentito? Stanno rispondendo!” esclamò Lojali. “Avanti, venite a darmi una mano!”. Ezio e Martino si alzarono, raggiunsero Lojali e lessero insieme a lui dal breviario: “Hodie exultant just!” gridarono insieme.

“Dicentes Gloria in excelis Deo” rispose un coro dall’altra parte della trincea.

Finita la preghiera ci fu un momento di silenzio totale. I soldati si guardavano l’un l’altro commossi. Lojali chiuse il breviario e prese a cantare Tu scendi dalle stelle subito seguito da Orsini, Martino, Ezio e Camilli.

Quando il canto fu finito, si alzò, dalla trincea tedesca, una melodia sconosciuta e dolcissima. La più bella e la più suggestiva che si potesse immaginare, per la notte di Natale e davvero quelle tenebre di guerra furono illuminate da una notte silenziosa, una notte santa.

Martino, con le lacrime agli occhi, tornò nel suo angolo e ricominciò la traduzione:

Là où il y a la discorde, que je mette l’union.

Là où il y a l’erreur, que je mette la vérité.

Guardò il soldato seminarista, che leggeva il breviario. Si alzò e andò da lui. “Lojali, senti qua:

“Dove c’è il dubbio, che io porti la fede

dove c’è disperazione, che io porti la speranza

dove ci sono le tenebre che io porti la luce

dove c’è tristezza che io porti la gioia”

“E’ bellissima” esclamò Vincenzo. “E’ tua?”

“No, me l’ha data un soldato francese”.

“E chi l’ha scritta?”

“Il tuo vescovo è un francescano, vero?” .

“Sì, perché?”

“Forse dovresti fargliela leggere”. E gli allungò il santino dove era stampata la preghiera.

Vincenzo lo osservò. C’era disegnato san Francesco con l’aureola, le braccia incrociate sul petto, e le mani – stigmatizzate – che sorreggevano un crocifisso mentre ai suoi piedi, sopra una roccia, era deposta la regola del Terzo ordine.

“Questa preghiera – c’era scritto in francese – riassume meravigliosamente la fisionomia esteriore del vero seguace di san Francesco”.

O Maestro, fa’ che io non cerchi tanto d’essere consolato,

quanto di consolare.

d’essere compreso, quanto di comprendere.

d’essere amato, quanto d’amare.

Poiché è dando, che si riceve;

Perdonando, che si è perdonati;

Morendo, che si resuscita a Vita Eterna.

La “Preghiera per la pace” continuò a diffondersi sempre di più durante la Prima guerra mondiale. Nel dicembre 1915 il marchese Stanislas de La Rochethulon la inviò al Segretario di Stato vaticano e il 20 gennaio 1916 fu pubblicata  dall’Osservatore Romano.

Vincenzo Lojali, tornato dal fronte con due medaglie d’argento al merito entrò in seminario e divenne prete. Nel 1938 viene chiamato a sostituire padre Francesco Berti come vescovo di Amelia, diventando uno dei più giovani vescovi italiani.

Ezio Cappelli sposò Olga: aprirono una falegnameria a Collescipoli e restarono insieme tutta la vita; ebbero una figlia, quattro nipoti e cinque pronipoti. Tra questi  anche il sottoscritto.

 

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