MOTEL WOODSTOCK

Si può fare un film su Woodstock senza mostrare né far ascoltare nemmeno un minuto del concerto?

Alla fine Motel Woodstock – lungo, prolisso in alcuni momenti davvero troppo – è come uno spogliarello in cui la donna, rimasta in mutandine, finge di togliersele e invece si rimette il reggiseno. Si rimette a ballare, poi se lo ritoglie, finge di spogliarsi completamente nuda, e invece si riveste, e così via.

Ti ci fa credere più volte, Ang Lee, che finalmente siamo arrivati al dunque e invece ogni volta si torna indietro, con digressioni su digressioni, dialoghi, sketch piuttosto prevedibili come i genitori anziani e perbeniti che si fanno di hashisch e così via…

Alla fine, Motel Woodstock è una bellissima cornice senza quadro. E’ l’eterno backstage di un evento che non viene mai mostrato.

Per tutto il film non si fa che parlare di Janis Joplin, Joan Baez, Jimi Hendrix. Ma non solo Hendrix, Baez e Joplin non si vedono mai (né in immagini di repertorio, né interpretati da attori) ma non si sente nemmeno la loro voce.

L’atmosfera di quei tre giorni di pace, amore e musica è ricostruita alla perfezione. Abbondano e sovrabbondano le citazioni del celebre film-documentario (a cominciare dall’uso dello split-screen). Ma di quell’evento rimane solo l’atmosfera, appunto, e nient’altro.

E alla fine l’impressione è quella di un coito interrotto. Motel Woodstock è un film incomprensibile per chi non conosce Woodstock, frustrante per chi ne è innamorato.

Sarà pure una deliberata scelta di prospettiva, ma l’idea che dà è che, più semplicemente, Lee non ha ottenuto i permessi per inserire immagini di repertorio e le musiche che resero memorabile quel concerto.

Tanto più che non stiamo assistendo alla storia di ipotetico hippie che ha partecipato all’evento senza partecipare al concerto. Qui si parla di colui che l’evento l’ha organizzato, e risulta abbastanza difficile riuscire a credere che non sia riuscito a vedersi nemmeno un minuto di concerto.

Ma noi, di sicuro, non l’abbiamo visto.

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