L'AMORE NON BASTA

“La prossima volta che faccio un film, nel contratto faccio inserire un clausola con scritto che i tagli delle scene girate vanno concordati con me”.
 
Proprio non gli va già, ad Alessandro Haber, che una delle sequenze a suo avviso più belle di “L’amore non basta” – il nuovo film di Stefano Chiantini interpretato con Giovanna Mezzogiorno, Alessandro Tiberi, Rocco Papaleo e Ivan Franek – sia stata eliminata in fase di montaggio. E non lo manda certo a dire. E così la vita pubblica del secondo film prodotto dalla ternana Pars è iniziata con una polemica, che ha vivacizzato la conferenza stampa di ieri mattina all’Hotel Barberini. “Il film dura un’ora e mezzo, e secondo me ci sono molte ripetizioni. Allora dico: perché visto che io sono nel tuo film, non mi sfrutti per bene?”.
Ferita comprensibile, quella di uno degli attori più prolifici del cinema italiano: chi prende sul serio la propria arte fatica ad accettare di vederla mutilata. Ma c’è attore e attore, e Rocco Papaleo, che oltre ad essere protagonista e sceneggiatore del film di Chiantini è il vero e proprio artefice – visto in un film a basso budget (appena 700mila euro) e di un regista giovanissimo è riuscito a portare la crema del cinema italiano – ostenta, come sempre, distacco e indifferenza.
 
Autentico prototipo dell’umorista, Papaleo prima cerca di mediare (“Haber è un attore talmente grande che non ha bisogno di essere seguito da una cinepresa dall’inizio alla fine del film”) poi chiude la querelle con una battuta: “Quella scena al cinema non si vede, però è stata inserita nella versione pirata!”.
 
E quando gli chiedi perché ha deciso di fare questo film, ti risponde non curanza: “Perché non avevo niente da fare. E mi sembrava una bella cosa contribuire ad un film originale come questo”. E originale, “L’amore non basta” – che uscirà in 90 copie in tutta Italia venerdì prossimo – lo è di sicuro. Raccontare la trama è praticamente impossibile: l’unica cosa che si può dire è che è una storia d’amore, che i dialoghi sono sospesi tra dramma e commedia, e che lo stile è sospeso tra il realistico e l’onirico.
 
Chiantini, 34 anni, al suo terzo film, gongola. Soprattutto per la presenza di Giovanna Mezzogiorno: “Non avrei mai pensato di poter fare un film con lei. E quando mi ha telefonato la prima volta non riuscivo a crederci”.
 
“Con Rocco siamo amici da molti anni – racconta lei – un giorno ha cominciato a parlarmi di questo progetto e io sono rimasta molto incuriosita. Anche perché non riuscivo a capirci niente! Così gli ho detto: fammi leggere la sceneggiatura. E quando l’ho letta ho deciso che volevo fare questo film”.
 
Figlia del grande Vittorio Mezzogiorno, Giovanna, 33 anni, la cui bravura è direttamente proporzionale alla bellezza, è cresciuta a Parigi frequentando maestri del calibro di Peter Brook. Lanciata dieci anni fa da Michele Placido con “Del perduto amore” (in cui c’era anche Papaleo) è reduce dal successo internazionale di “L’amore ai tempi del colera”.
“Questo è stato il primo film che ho fatto, al mio ritorno in Italia. Ed è stato importante, dopo aver girato un kolossal immergersi in una piccola produzione. Direi che è stato rigenerante”.

Che differenze hai notato nelle due produzioni?
 
“In un kolossal hai molto più tempo a disposizione, questo invece l’abbiamo girato in appena cinque settimane. E poi c’è più promozione, ma è c’è anche meno libertà espressiva. Con Stefano ho potuto lavorare in un bel clima, molto più intimo e raccolto rispetto a quello di una troupe internazionale”.
 
Cosa ti ha convinto ad accettare la parte?
 
“E’ una storia aperta, che non vuole imporre un punto di vista, e che ha un grande rispetto per lo spettatore. E poi c’è molta grazia nel modo di raccontare questa storia d’amore”.
 
Nel film la madre di Martina, il suo personaggio, dice “L’importante è amarsi” e lei risponde: “L’amore non basta”. Giovanna Mezzogiorno a quale delle due scuole di pensiero appartiene?
 
“Sono d’accordo con quello che dico io nel film. Io tendo a difendere fino all’ultimo una storia. Perché se si sta insieme ci sono dei motivi, e quei motivi per me hanno un valore. Si può essere innamorati, ma non basta. Per stare insieme ci vuole comunione, condivisione autentica della vita e dei propri valori. E queste condizioni, a volte, anche quando si ama, non si creano”.
 
Stare insieme, anche quando ci si ama, diventa sempre più difficile?
 
“Sicuramente. Io credo che oggi la coppia sia messa molto sotto pressione per tanti motivi. Mi piace il fatto che questo film non entri nel merito, non spieghi perché due persone non si capiscono più. Perché sono mille le contingenze che in un certo momento fanno sì che non si riesca più a comunicare, e così si crea una distanza che diventa incolmabile. Oggi,  per chi ha venti-trentacinque anni e non ha ancora imboccato la propria strada, la frustrazione per non riuscire a realizzare i propri sogni genera una pressione che fa sì che anche nei rapporti intimi si creino tensioni maggiori”.
 
E l’amore non basta.
 
“Bisogna lottare, essere forti e convinti che bisogna starci, con quella persona. Ad andarsene non ci vuole niente, rimanere è più difficile. Il mio personaggio ritorna sempre, è una recidiva. E un motivo c’è: perché io penso che ancora più triste della fine di una storia è il momento in cui uno si rende conto che quella storia sta finendo. E’ come la malattia e la morte. Quando una storia è finita puoi rinascere, elaborare il lutto; è molto più doloroso stare dentro una storia, vedere che sta finendo e sentirti impotente, non riuscire a trovare il bandolo della matassa. Quello è un momento terribile e si a fatica a uscirne. Per questo si tende a tornare, a non chiudere mai. E’ difficile dire: ‘vado via, prendo le mie cose e sto con un altro’. E’ dura”
 
Di solito lei che fa: resta o se ne va?
 
“Io sto fino all’ultimo aggrappata al cornicione. Cerco di salvare fino all’ultimo momento, perché dò molto valore alle storie e ai rapporti d’amore. Credo che se si è stati insieme c’è un motivo; quando si è cresciuti per un pezzo di vita con una persona è un cosa grossa, quindi prima di mollare, prima di andare via cerco di capire se è davvero finita, perché poi una volta che le persone sono andate non tornano”.
 
Non tornano?
 
“Quasi mai”.
 
Martina non riesce a portare a termine l’università. C’è qualcosa che Giovanna non è riuscita ad ultimare?
 
“Quasi tutto. Per esempio anche io non mi sono laureata, e oggi la considero una grave mancanza. Ho la maturità linguistica e secondo me è poco. Mi piacerebbe dedicarmi a molte più cose ma per me è difficile anche solo fare un sport. Che mi iscrivo a fare ad un corso se dopo quattro mesi me ne vado? E questo crea frustrazioni perché sembra che fai tante cose, ma poi tante cose che vorresti fare non le fai”.
 
Quindi oggi vorrebbe dedicarsi a sé stessa?
 
“Forse sì”.
 
Dopo aver interpretato personaggi giganti come Santa Chiara e Ilaria Alpi, come è stato l’approccio ad un personaggio così quotidiano?
 
“In realtà recitare la normalità è la cosa più difficile, perché hai più possibilità di portare te stessa nel film, e allora rischi di sovrapporti al personaggio, oppure di cadere nei cliché, diventare pigra. Insomma, farlo con la mano sinistra. Io, invece, non credo di aver fatto mai niente senza faticare, perché prendo tutto molto sul serio”.
 
Ora lavorerà con Bellocchio. Che previsioni di fatica ha?
 
“Molto alte. Ho fatto un provino insieme a molte altre attrici e ci hanno chiesto di firmare un obbligo di riservatezza. E poi sarà una produzione molto lunga e difficile. Sì, sarà una fatica nera!”.
 
(da Il Giornale dell’Umbria di domenica 13 aprile)
 

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