Valentino e i Saturnali

Valentino camminava, con il suo carico di pietre, per le strade addobbate della città.

Intorno a lui era tutto un formicolare di passanti indaffarati a fare acquisti e a osservare i giovani mascherati come gli attori teatrali.

Erano appena iniziati i Saturnali, la più importante festa romana. L’unica che si celebrava in tutto l’impero: era dedicata a Saturno, Dio del tempo e della fertilità. Si ricordava l’età dell’oro, l’epoca in cui tutti gli uomini erano uguali, senza schiavi né padroni, e per una settimana non c’era differenza tra servi e signori. Anzi, erano gli stessi padroni che servivano i loro schiavi.

“Saturno – gli raccontava sempre Pompeo, da bambino – era arrivato nel Lazio per sfuggire all’ira del figlio Giove. Giunto per mare risalendo il Tevere arrivò fino al Gianicolo, e qui fu accolto da Giano, il Dio dalle due facce che – nel mese a lui dedicato – guarda con una faccia all’anno vecchio e con l’altra quello nuovo. Giano aiutò Saturno a stabilirsi sulla riva sinistra del fiume, alle radici del Campidoglio, dove sorse poi il suo tempio”.

“Fu proprio Saturno – continuava il padre – che tolse i romani alla pastorizia vagante e gli insegnò la coltivazione dei campi. Per questo ora è il Dio della fertilità e dell’abbondanza”.

Passò davanti al tempio di Saturno. Era un edificio maestoso: un’alta scalinata conduceva di fronte ad un colonnato sovrastato da un timpano decorato con bassorilievi. L’indomani tutta la città si sarebbe ritrovata là dentro a venerare il simulacro del Dio, che era pieno di olio e legato con delle bende per impedirgli di lasciare il suo posto; bende che, nel momento più solenne del rito, dopo il sacrificio, sarebbero state sciolte.

Alla fine del rito ci sarebbe stato un grande banchetto pubblico, con il brindisi finale durante il quale tutti ripetevano insieme “Io, Saturnalia!”.

Per la prima volta, quell’anno, Valentino non avrebbe partecipato al cenone; per la prima volta non avrebbe partecipato a danze; per la prima volta non avrebbe giocato a dadi fino a notte fonda.

Intorno a lui tutti compravano regali e si additavano, l’un l’altro, le maschere.

Tutta quella gioia, questa volta, proprio non gli apparteneva. Nessuna festa per lui e per quelli come lui.

Non ci sarebbero stati banchetti, per Valentino, né regali da fare e da ricevere per festeggiare la fine del freddo e l’arrivo della stagione buona.

E per la prima volta si ritrovava – in tutta sincerità – ad invidiare i pagani. In fondo in quei primi anni da cristiano clandestino, aveva trovato il compromesso che gli era sembrato più giusto, per rispettare insieme tradizione e religione. Aveva evitato il culto nel tempio, o aveva partecipato senza pronunciare le preghiere; e si era guardato bene dal prendere parte alle orge. Ma non aveva rinunciato a quelle parti della festa che non gli sembravano in aperta contraddizione con la sua fede cristiana.

Aveva organizzato grandi banchetti, acquistato e ricevuto strenne, cantato, danzato, giocato. I Saturnali erano la festa più bella dell’anno e non c’era motivo di rinunciarci. Anche perché, aveva più volte riflettuto, in fondo i Saturnali – dietro la metafora degli dei – erano una festa che riguardava ogni uomo: era la festa in cui si meditava sul tempo che passa, in cui si festeggiavano il futuro e il passato, la giustizia e la speranza. Cosa, di tutto questo, era incompatibile con il Vangelo?

Nulla. Al contrario, se avesse potuto, Valentino l’avrebbe trasformata volentieri in una festa cristiana: avrebbe messo Cristo al posto di Saturno, la celebrazione eucaristica al posto del culto nel tempio, e avrebbe mantenuto tutto i resto: le strenne, le luci, le maschere, i banchetti. D’altra parte, cos’era il cristianesimo se non la festa della luce, della speranza, della gioia e della fratellanza tra tutti gli uomini?

Le pensava, queste cose, mentre attraversava le vie addobbate della città e osservava le maschere cantare e danzare per le vie; ma si guardava bene dal dirlo a voce alta. Cosa sarebbe successo se lo avesse sentito Tertulliano?

No, il cristianesimo era una rivoluzione radicale, che tutto il vecchio doveva abbattere, tutto distruggere per far nascere un mondo nuovo che nulla doveva mantenere di quello vecchio, corrotto e demoniaco.

E così sia, si diceva – con un po’ di tristezza – Valentino. Nulla di tutto questo vedremo più nelle nostre strade: né templi, né maschere, né statue, né luci, né gente indaffarata a comprare strenne.

Però, che peccato.

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