Si vita da Carlo una volta sola

Sono un cultore di Carlo Verdone. Ci sono cresciuto e ho visto (quasi) tutti i suoi film. Me ne mancavano solo due. Uno dei due era l’ultimo: “Si vive una volta sola” e ieri sera l’ho recuperato.
Non avevo, francamente, grandi aspettative, perché la decadenza di uno dei più grandi artisti italiani conta ormai 25 anni, e di conseguenza più di metà della sua opera è costituita da film che non rendono alcuna giustizia alla prima metà, e spaziano dal carino all’imbarazzante.
Se un tempo i film di Verdone si dividevano in commedie più disimpegnate e commedie più ambiziose, da “Gallo Cedrone” ad oggi il regista alterna stanche riproposizioni e vorrei ma non posso.
E se “Benedetta Follia” rientrava nella prima categoria, riproponendo dinamiche e personaggi dei suoi vecchi successi, “Si vive una volta sola” tenta di cambiare completamente strada proponendo una sorta di versione aggiornata di “Amici miei”.
Il problema è che Verdone non può pretendere di rifare Tognazzi come Mina canta Battisti. Anche perché Mina canta non scimmiotta, e si affida ogni volta a produttori di grande talento.
Verdone, invece, è da vent’anni vittima di Aurelio De Laurentiis (per intenderci: il padre dei cinepanettoni) che ne ha accelerato il degrado costringendo un autore che già iniziava a perdere i colpi ad una comicità sempre più superficiale, volgare e ripetitiva.
Se come regista Verdone scimmiotta Monicelli, come attore si rifà (per la prima volta) ad Alberto Sordi. Ma non è un caso se il Nostro abbia sempre rifiutato il ruolo di erede di Sordi che gli è stato affibbiato sin dai suoi esordi. I personaggi di Verdone sono agli antipodi rispetto a quelli di Sordi. Non a caso quando in “Bianco, Rosso e Verdone” si era rifatto apertamente a “Lo sceicco bianco” di Fellini, il personaggio che citava era quello di Leopoldo Trieste, non certo quello si Sordi. E lo stesso Trieste avrebbe voluto a fianco in “Troppo forte” e non Sordi, la cui presenza gli fu imposta contro la sua volontà.
“Si vive una volta sola” (particolarmente di attualità, visto che si apre con un ricovero di papa Francesco, operato dal chirurgo-Verdone) è un film di ambientazione sanitaria ucciso dal Covid.
Forzato nei dialoghi e nelle situazioni, con un finale “a sorpresa” prevedibile almeno da metà del film, doveva uscire nel febbraio 2020 e l’autore stava girando le varie trasmissioni televisive per promuoverlo quando è esplosa la pandemia.
Da allora il film è stato rimandato per ben due volte, per arrendersi alla fine ad Amazon Prime.
Insomma il Covid ha fatto anche cose buone. Perché non solo ha liberato dalle sale un film che di sicuro non dobbiamo rimpiangere, ma ha portato Verdone su Amazon Prime gettando le base per una svolta che rappresenta una vera rinascita artistica del grande attore e regista romano: e cioè VITA DA CARLO.
La sit-com autobiografica, con l’ultimo film, ha in comune anche la presenza di Max Tortora, con cui Verdone forma una felicissima coppia.
Sotto il profilo artistico, invece, rappresenta l’antitesi dei film usciti negli ultimi 25 anni. Tanto quelli sono fasulli quanto questa è autentica.
D’altra parte se non hai più niente da dire, non c’è niente di meglio che raccontare te stesso. Visto anche che quello che vivi è molto più interessante di quello che cerchi di raccontare con i tuoi film.
E se è sempre meglio essere autobiografici che autoreferenziali, Carlo Verdone è forse l’unico artista italiano che può permettersi davvero di raccontare sé stesso.
Con i suoi alti e bassi, “Vita da Carlo” è un prodotto perfettamente riuscito proprio perché è profondamente reale e sincero. A differenza di “Sono Lillo” (in cui si limitano a coincidere i nomi di personaggi e interpreti nella migliore tradizione comica, che va da Stanlio e Ollio a Totò, da Ciccio & Franco a Checco Zalone e Ficarra & Picone), “Vita da Carlo” parla davvero della vita di Carlo Verdone, che non ha paura di mostrarsi anche in tutta la sua mediocrità umana e le frustrazioni artistiche, e si permette di fare la caricatura anche dello stesso Aurelio De Laurentiis, dalla cui morsa Amazon lo ha in qualche modo liberato (resta produttore, senza più però l’ossessione degli incassi).
Incapace di reinventarsi come attore e come regista (sarebbe d’altronde, impossibile farlo senza separare i due ruoli – cosa che non ha mai voluto fare) Verdone trova la forza proprio nella sua personalità e nella sua normalità.
Sicuramente è quindi un’ottima notizia il fatto che stia preparando la seconda stagione di “Vita da Carlo”. Questa è senza dubbio oggi la sua dimensione ideale.
D’altra parte Nanni Moretti dimostra che anche chi decide di prendere seriamente le distanze da sé stesso, prima o poi torna a celebrarsi.
A partire dal “Caimano”, infatti, Moretti ha fatto di tutto per distaccarsi dal suo personaggio: ha messo altri attori come protagonisti dei suoi film e interpretato personaggi sempre più lontani dalla sua maschera, fino ad arrivare – con “Tre piani” – ad adattare un romanzo israeliano per un film totalmente drammatico. Un film che ha condiviso lo stesso destino di “Si vive una volta sola” e “Cosa sarà” di Francesco Bruni, con un’uscita rimandata di un anno a causa della pandemia, e che è stato poi contestatissimo proprio perché per nulla morettiano.
Ora, il “Sol dell’avvenire” si preannuncia come un ritorno ai fasti del Moretti classico, con palesi autocitazioni da “Sogni d’oro”, “Caro diario” e “La stanza del figlio”. E chissà che anche per lui il prossimo passo non sia “Vita da Nanni”…
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