RISPOSTA A VINCENZO POLICRETI SU “VALENTINO”

Carissimo Vincenzo,
quella che mi hai scritto su mio Valentino è più una recensione che una lettera. Diciamo pure che è una recensione mascherata da lettera. E non si risponde alle recensioni, quindi non dovrei rispondere alla tua lettera.
Ma è pur vero che sono tanti gli spunti di riflessione e di approfondimento lasciati dalla tua lettera-recensione, che mi danno l’occasione per scrivere una postilla al romanzo mascherata da risposta.
Cedo quindi alla tentazione di rispondere ala tua bellissima lettera-recensione, cosa che mi fa sentire uno scrittore vero, tipo Manzoni quando scriveva le Lettere sui promessi sposi.

Innanzitutto devo confessarti la mia grandissima gioia nel vedere come sia riuscito a condividere con te il viaggio che ho fatto in questi anni e – oso dirlo? – la mia “poetica”.

La mia più grande paura, in questi ultimi due anni e mezzo, è stata quella di scrivere una cosa “per me”, di aver costruito un universo troppo complesso per poterlo comunicare ad altri.

Un timore fondato, visto che era il mio primo romanzo – atteso per ben 20 anni! (il mio primo tentativo di scrivere un romanzo storico risale al 1993) – e che la prima stesura aveva avuto pessimi riscontri.

Quando dunque mi rivolgo, scherzosamente, ai miei “cinque lettori”, non lo faccio solo per rendere omaggio a Manzoni: l’ho fatto anche perché davvero se fossi riuscito ad arrivare anche solo a cinque persone, mi sarei potuto dire soddisfatto e realizzato. Perché, a dire il vero, non ero sicuro di poter raggiungere nemmeno questa cifra!

Con la tua recensione, l’ho raggiunta. Con il tuo commento, che si aggiunge a quelli di Stefania Parisi,  Mariola Parzych, Roberta Falasca e Loredana Franza (uh, sei l’unico uomo!), ho individuato tutti e cinque i miei lettori. Ora chi verrà è il benvenuto ma, come dire, il bersaglio l’ho centrato!

Ho escluso dall’elenco, ovviamente, le persone che hanno partecipato – in qualche modo – alla lavorazione stessa del libro: Lilia Sebastiani, che da vent’anni legge in anteprima tutto ciò che scrivo e i miei editori: Silvano Finistauri e Roberta Argenti, che per primi hanno creduto in questo progetto e che me lo hanno anche stravolto, aiutandomi a trasformare un racconto senza né capo né coda (ma secondo loro, con molte potenzialità) nel libro che tu hai letto.

Venendo a noi: sono contento che tu abbia apprezzato la strizzata d’occhio sul tifo calcistico anche se in realtà il riferimento non voleva essere così esplicito come tu hai percepito. Non ho trovato il passo in cui uso la parola “Terni” anziché “Interamna” ma se c’è è una svista! In realtà i riferimenti espliciti alla realtà contemporanea stanno nei nomi delle confraternite: Fratres Monstra (antesignani dei Freak Brothers) e Cux (Cucs – Comando Ultrà Curva Sud).

A parte questi due riferimenti, tutto il resto (a cominciare dall’esistenza stessa delle Collegiate) è rigorosamente storico. L’episodio che racconto, in particolare, è avvenuto a Pompei, mentre le parole di disprezzo che ho messo in bocca a Valentino le ho prese da qualche autore che ora io stesso ho dimenticato!
Quanto all’opposizione che fai tra martirio e amore: sicuramente mi fa molto piacere che un laico possa apprezzare così tanto un romanzo che vuole essere profondamente cristiano, ma non confessionale.
La dicotomia che tu vedi tra amore e martirio è insita probabilmente nel libro, anche e non del tutto consapevole, da parte mia.
Non c’era in me alcuna deliberata intenzione di svalutare il martirio. Se non racconto la morte di Valentino, in realtà, è solo per un motivo: io mi fermo all’anno  203 e Valentino è morto nel 273. Raccontare altri 70 anni avrebbe comportato almeno altre 600 pagine e mi sono chiesto: primo, quando sarei riuscito a finire il libro. Secondo, chi avrebbe avuto la pazienza di leggerlo! Quindi ho scelto di fermarmi alla giovinezza del Santo senza escludere, peraltro, di dare un seguito al libro.
Eppure le tue parole mi hanno fatto capire che sì, forse in modo inconscio, ma  quello che tu dici è vero: il libro parla d’amore e tutto sommato non guarda di buon occhio il martirio.
“Chi è disposto a morire per qualcosa è disposto anche ad uccidere” dice Silvia. E lo penso anche io: Il cristianesimo è amore è l’amore è vita e difende la vita, sempre. Non c’è amore che cerchi la morte. Il martirio, quindi, lo diceva anche san Francesco, va subito, mai ricercato. E’ una conseguenza, non un valore in sé.Il martirio come atto estremo d’amore sì, il martirio come pura testimonianza no.
Insomma c’è martire e martire: Cristo stesso è stato un martire, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, sono stati dei martiri. Mentre – per fare un altro esempio locale – i Protomartiri francescani erano solo dei fanatici, non a caso lo stesso Francesco ne aveva preso le distanze. Non a caso il romanzo mette in guardia dal fanatismo, in ogni sua forma.
Quindi, in fondo devo darti ragione.
Arrivando a Dan Brown: devo correggerti sulla Veronica (in realtà è la Maddalena!) ma confesso che è vero.
Il Codice Da Vinci e Angeli e Demoni sono romanzi scritti male e pieni di idiozie, ma ammetto che mi hanno appassionato moltissimo. Quindi ebbene sì, con Valentino volevo fare una sorta di “bella copia” del Codice, volevo scrivere un romanzo altrettanto accattivante e appassionante, ma più serio nei confenuti e più bello nella forma.
Tutto il contrario per Quo Vadis?: ho iniziato a leggerlo all’inizio della stesura del libro, proprio per cercare ispirazione, ma non l’ho trovata. Sienkiwicz è troppo “trombone” per i miei gusti, la sua narrazione troppo classica e piatta, la sua visione del cristianesimo troppo tradizionalista, la sua descrizione della Roma antica troppo pedante. Anche se gli ho voluto rendere omaggio comunque (la scena di Valentino nelle terme) per questioni affettive.
Pennac invece, non lo conosco affatto! Mi hanno regalato tempo fa un suo libro ma – e lo dico col capo cosparso di cenere – non l’ho mai letto.
Sono invece curioso di capire quali passi hai giudicato troppo retorici o agiografici. Da come li descrivi ho quasi l’impressione che tu ti riferisca ai passaggi sulla vita di santa Cecilia che ho preso pari pari da Bartolo Longo e che sono volutamente in stridente contrasto con il resto del libro, proprio perché sono i mementi in cui metto a confronto l’agiografia con la storia. Se invece ti riferisci a passi che riguardano Valentino, segnalameli perché significa che – al contrario – ho avuto una caduta di stile del tutto inconsapevole.
Ti riferisci al confronto tra Valentino e Tertulliano? Troppo “buono” Valentino e troppo “cattivo” Tertulliano?
Grazie per la “gioventù”: fa sempre piacere, arrivati alle soglie dei quarant’anni, trovare qualcuno che ti dà del giovane!!
P.S.
Felice del fatto che la citazione di Saint’-Exupery non fosse così scontata come temevo. Credevo fosse una frase così celebre che mi sono sentito in dovere di mettere le mani avanti nella postfazione, e invece evidentemente non è così e me ne rallegro!
Peraltro si tratta di una doppia citazione, perché in realtà l’ho ripresa dal Giardino di Valentino del nostro amico Alban Guillon, che la colloca esattamente dove l’ho riportata-
No, non c’entra il ragazzino: la citazione di Saint-Exupery è l’ultima pronunciata da Valentino: “Amare non significa dire guardarsi l’un l’altro, ma guardare insieme nella stessa direzione”.
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