PROIETTI & PROIETTI

 

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E’ un ritorno a casa, per Gigi Proietti. Perché affondano in questa terra, le radici dell’ultimo grande istrione dello spettacolo italiano, e lui ne va fiero. Assente – ma solo artisticamente, ci tiene a precisare – da tre anni, da quando, cioè, portò il suo irresistibile recital al teatro Verdi per gli eventi Valentiniani,  l’attore romano è stato l’ospite d’onore dell’ultima edizione de Le vie del cinema, la rassegna del cinema restaurato organizzata a Narni dal Comune e dal Centro sperimentale di cinematografia e diretta da Alberto Crespi.

Di fronte al gigantesco schermo del Parco dei Pini di Narni scalo (il più grande d’Europa), Proietti c’è arrivato sabato sera, per presentare la versione restaurata di Casotto di Sergio Citti, interpretato nel 1978 a fianco di attori come Paolo Stoppa, Michele Placido, Ugo Tognazzi, Jodie Foster e Catherine Deneuve. “Senza dubbio l’unico film che ha segnato nel profondo la mia carriera” dice.

A Porchiano, Gigi Proietti ha una casa, recentemente ristrutturata, e a Terni un’erede, Raffaele, nipote e attore a sua volta, cresciuto alla scuola di Gastone Moschin e attivo nel campo del doppiaggio.

“Io sono orgoglioso delle mie radici umbre: mio padre è nato a Porchiano, anche se è venuto ad abitare a Roma giovanissimo”.

Lei, invece, è nato a Roma.

“Sì, io sono romanissimo. Sono nato in via Giulia, ma da queste parti ci vengo spesso. Ho anche rimesso a posto da poco la casa di Porchiano, quindi adesso ci verrò ancora di più. Poi qui ci sono i miei parenti, i miei cugini. Anche se quando vengo sto sempre a Porchiano e Narni non la conosco benissimo, per questo sono rimasto sorpreso nello scoprire una struttura come il Parco dei pini”.

Gigantesco a teatro, dove ha reinventato il genere del monologo, fortissimo in televisione (varietà, sit-com, fiction e una serie leggendaria come Il maresciallo Rocca), irresistibile nella pubblicità e nel doppiaggio (suo il genio della lampada nell’Aladdin della Walt Disney) e ancora direttore artistico (per anni ha guidato il teatro Brancaccio, il cui ‘scippo’ da parte di Maurizio Costanzo ancora gli brucia) e fondatore di una scuola da cui sono usciti artisti come Giorgio Tirabassi, Rodolfo Laganà, Gabriele Cirilli e Francesca Reggiani, considerato l’erede di Ettore Petrolini e di Aldo Fabrizi, capace – come solo i grandi comici di una volta – di far ridere anche ripetendo vecchissimi sketch, paradossalmente l’unico campo in cui Proietti non è riuscito ad esprimere il suo talento è proprio il cinema. Pochi film, quasi tutti con Carlo Vanzina (del quale ha interpretato anche il corale Un’estate al mare appena uscito nelle sale), pochissimi significativi. Forse l’unico è davvero Casotto. Tanto che oggi, Proietti, medita di farne uno spettacolo teatrale.

“E’ da molto tempo che ci sto pensando. Perché c’è un dato molto curioso: è un film che rispetta le tre unità aristoteliche di tempo, luogo e azione, e quindi si presta molto ad essere adattato per il teatro. E poi ha un linguaggio che non è affatto datato e non ci sarebbe nessuna necessità di renderlo attuale. Io ne ho già parlato con Vincenzo Cerami. Mi piacerebbe anche metterci delle canzoni”.

Come è stato lavorare in un cast così stranamente assortito?

“C’erano attori di estrazioni completamente diverse l’uno dall’altro, e che quindi rispettavano un po’ l’atmosfera del Casotto. Che, per chi non lo sapesse, al mare era l’alternativa sottoproletaria alla cabina. Nel casotto tu affittavi un chiodo e lo potevi usare per tutta la giornata”.

Casotto fu girato nel 1977, quando era appena uscito Febbre da cavallo, il suo unico grande successo cinematografico.

“Il cinema mi respinge, da sempre. E me ne dispiace: diciamo che non c’è stato mai il matrimonio che ci poteva essere. Con il cinema siamo sempre rimasti fidanzati. E se ho un obiettivo oggi, è proprio quello di lavorare di più in quel campo”.

Febbre da cavallo, peraltro, quando uscì non ebbe molto successo.

“Si limitò, come si dice, a rifarsi i soldi. Il vero successo è arrivato 16 anni dopo, quando lo acquistò una tv locale. Sai queste che comprano i film a chili? E si resero conto che ogni volta che passavano questo film aumentava l’audience, e fu così questo  film si rifece la carriera, fino ad arrivare – sei anni fa – ad avere un seguito. E’ una vicenda curiosa che mi ha dato l’idea per una storia: quella di un attore fallito che all’improvviso comincia ad essere circondato da fan perché un suo vecchio insuccesso è diventato un ‘cult’”.

Il 1977 era anche l’anno di “A me gli occhi please”.

“Quello fu uno spettacolo che rappresentò uno spartiacque per il teatro italiano. Sì, quello per me era davvero un momento magico. Anche se per me ancora lo è: io non ho niente di cui lamentarmi, se non di certi scippi che ti fanno, tipo uno che ti si porta via un teatro. Io non ce l’ho con la ‘società’, ma con una persona!”.

Che però non nomina mai, quasi portasse male.

“In Italia così si combattono gli avversari. Dovrebbero capirlo i politici: basta dire che uno porta jella, e non lo vota nessuno. Ecco, per esempio, adesso c’è qualcuno che è andato in Giappone… e subito c’è stato il terremoto!”.

Tornando a Casotto, in una versione teatrale a chi affiderebbe il suo ruolo?

“Ci vorrebbe un giovanotto un po’ attempato, ma non penso che sarebbe difficile da trovare. Sarebbe più dura, invece, sostituire Paolo Stoppa. Con lui io avevo lavorato a teatro nel “Mercante di Venezia”, ma l’ho scoperto davvero facendo quel film. Lui aveva sempre lavorato a teatro con Visconti, era un attore raffinatissimo e non avrei mai immaginato che fosse così romano”.

Potrebbe farlo lei, quel ruolo…

“Come età, ormai ci siamo, ma io non sono quel tipo di personaggio, anche se lo farei molto volentieri, anche perché Toto, uno dei miei personaggi più celebri, nasce proprio da un imitazione che io facevo di Stoppa. La facevo così bene che quando eravamo al doppiaggio io, per scherzo, feci una frase al posto suo, e lui non si accorse di niente!”.

Cosa ricorda con più piacere di quell’esperienza?

“Il divertimento. Ridevamo sempre. Una scena abbiamo dovuto rifarla 24 volte perché non riuscivamo a smettere di ridere”.

Avete usato l’improvvisazione?

“Mai. Avevamo una sceneggiatura di ferro, scritta fin nei minimi dettagli da Vincenzo Cerami e Sergio Citti. Una sceneggiatura straordinaria”.

UN NIPOTE CRESCIUTO ALLA SCUOLA DI MOSCHIN

 
Gigi Proietti è suo zio, ma il padre artistico è Gastone Moschin, e ci tiene a sottolinearlo, Raffaele Proietti.

Ternano, 25 anni, laureato in odontoiatria, Raffaele ha lavorato con artisti come Marzia Ubaldi, Giorgio Lopez e Ilaria Stagni ma mai con l’illustre zio. E  la cosa non stupisce: a dispetto della stretta parentela e della straordinaria somiglianza fisica (“ma io sono più bello” scherza) Raffaele non ci tiene nemmeno a farlo sapere, di avere uno zio tanto famoso, e la sua strada artistica fino ad oggi l’ha percorsa tutta da solo, partendo dalla scuola Mumos dei Moschin e arrivando al doppiaggio di serial come West Wing, Ghost Whisper, Casalinghe disperate e Beautiful e di film come X-Files 2.


(da Il Giornale dell’Umbria di mercoledì 16 luglio)

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2 commenti su “PROIETTI & PROIETTI

  1. Sydney5 il said:

    Volevo ringraziarla, per le parole lasciate da Mario ( Mille962)

    Grazie.

    Mariano

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