PANDAMPARADISO

E’ appena finita una storia iniziata 34 anni fa.

Quando zia Maria e zio Bruno si sono sposati, nel 1983, hanno deciso di comprare un’auto nuova: una Panda 45 metalizzata, ultimo modello della macchina uscita appena tre anni prima e destinata a conquistare gli anni ’80 e ’90.

Zio Bruno amava molto affabularmi, e mentre aspettava ancora che la macchina arrivasse, me la descriveva – con tanto di disegni – inventando superpoteri a cui io, divertito, fingevo di credere.

La Super Panda, mi raccontava, poteva andare anche in acqua, perché le gomme si trasformavano in quattro grandi canotti, mentre dal tettuccio poteva spuntare un’elica che la faceva persino volare.

Quando poi la già celebre Panda arrivò, diventò la compagna di grandi avventure, perché zio Bruno la domenica ci caricava dentro me e Daniele Casali e ci portava a pesca o a caccia.

Io ero totalmente sedotto da questa macchina meravigliosa, perché era la prima auto a tre porte su cui salivo, e mi divertivo a viaggiare nel bagagliaio, anche se era vietato dalla legge.

Nel 1991, dopo la nascita di Barbara Corvo e Riccardo Corvo, la famiglia aveva bisogno di un’auto più spaziosa, e quindi zio Bruno e zia Maria decisero di venderla. E visto che io e mio fratello eravamo ormai quasi maggiorenni, Franco Casali pensò di comprarla lui, affiancandola prima alla Opel Manta e successivamente alla Fiat Regata.

Poco dopo mio fratello iniziò a guidarla e la Panda divenne quindi il teatro delle prime uscite da soli con gli amici e – un paio di anni dopo – il mio mezzo di Scuola Guida.

In seguito, sarebbe diventata il teatro del mio primo amore e del mio primo bacio.

Il 5 gennaio 1995, mentre tornavo alle cinque di mattina dalla festa di diciotto anni di Emanuela Domenichetti (di cui peraltro ero follemente innamorato) a Labro, l’auto slittò sulla strada ghiacciata e finì fuori strada. Persi quasi del tutto il controllo della macchina che stava precipitando nel burrone e solo per un soffio riuscì a deviarla tutta sulla sinistra, finendo letteralmente in verticale sulla parete della montagna.

L’ auto era praticamente distrutta, mentre io ne uscii miracolosamente illeso. Una portiera era bloccata, l’altra la usai come una botola per scivolare fuori. Le ruote erano andate. La macchina restò di fatto in equilibrio come se stesse facendo un balletto classico.

Mi salvò un passante, che mi riportò a Terni sano e salvo.

L’auto sembrava irrecuperabile, ma io mi opposi con tutte le forze all’idea di buttarla. Di fatto ripararla costò il doppio di quanto avessimo speso per comprarla, ma continuò ad accompagnarmi per altri dodici anni. Le dedicai anche un racconto, rimasto sempre inedito, in cui narravo tutte queste storie.

Una quindicina di anni fa, quando mio fratello si comprò una macchina tutta sua, Anna Panda divenna la MIA automobile a tutti gli effetti.

Con il passare degli anni la povera Anna Panda (questo il nome che le avevo dato) risentiva sempre più degli acciacchi dell’età.

Posso dire di avere avuto con lei un rapporto di mutuo soccorso: credo di averla spinta quasi quanto lei ha trasportato me. Negli ultimi anni accendere il motore nelle mattine di inverno diventava sempre più difficile, in compenso si scaldava così in fretta che era diventato impossibile arrivarci più in là di Narni.

Questo ha influito molto sulla mia mobilità, e di fatto se sono diventato un convinto pedone-ciclista-trenista probabilmente è perché per gran parte dei miei anni da patentato non potevo contare su un’automobile nel pieno delle sue funzioni.

Finché vivevo a Terni, comunque, la cosa era gestibile. Quando però nel 2007 sono andato a vivere da solo a Collescipoli, avere un’auto funzionante è diventata una necessità. E così nella mia vita è arrivata la Peugeot 107 detta Black Pisiu.

Anna Panda è rimasta parcheggiata sotto casa dei miei, lì dove ero riuscito a metterla l’ultima volta che ha camminato, dieci anni fa. E lì è rimasta immobile per dieci anni.

Mi sono scontrato ripetutamente con mio padre che voleva buttarla e con alcuni vicini che hanno iniziato a fare ritorsioni sempre più pesanti (prima hanno bucato le gomme, poi sono arrivati a rubare la targa) per far capire che la signorina non era più gradita nel nostro condominio.

Io ho continuato a pagare l’assicurazione per anni (del bollo non aveva più bisogno perché nel frattempo era passata auto d’epoca) continuando ad accarezzare il sogno di rimetterla in sesto, “quando avrò i soldi”.

Poi ho perso il lavoro, e ho preso coscienza che – comunque – quand’anche avessi fatto i soldi, sarebbe stato comunque troppo tardi.

Qualche mese fa mi sono accorto di non avere più un’automobile ma un mucchio di rottami. E sì, ho capito che dovevo lasciarla andare.

Grazie a Zio Mauro e a Beata Golenska sono riuscito a portarmi via quante più reliquie possibili, destinate a diventare arredi di modernariato o a restare nel mio Museo dei ricordi: i fanali, il volante, persino il cruscotto, sono riuscito a portarmi via. Poi è venuto il momento di dirle addio.

Svuotando il bagagliaio ci ho trovato memorabilia del Terni Film Festival del 2007 e due scatoloni interi di uno dei numeri più belli di “Adesso”.

Ieri abbiamo fatto con mio padre le ultime pratiche. ci avevano detto che prima di passare a ritirarla ci avrebbero chiamato, invece non l’hanno fatto: e andando a pranzo dai miei, al posto di Anna Panda ho trovato un macchia scura sull’asfalto, dove – nel frattempo – è pure cresciuta un po’ di erba.

Addio, Anna Panda. Che i macchinari di Grilloferr ti siano lievi.

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