OUTING – UN FILM A CINQUE STELLE

“l’ultima cosa che vogliamo è realizzare i loro sogni, perché ci spazzerebbero via in un pomeriggio!”.

Un film catartico, irresistibile, arrabbiato. Dopo aver contagiato il Parlamento e il Vaticano, il “grillismo” arriva al cinema con Outing – fidanzati per sbaglio di Matteo Vicino che, non a caso, non ha mai nascosto le sue simpatie per il Movimento Cinque Stelle e non ha mai fatto della diplomazia o del buonismo la sua strategia.

Come Beppe Grillo il film di Vicino denuncia, senza girarci attorno e senza mezzi termini, il sistema marcio fatto di raccomandazioni, ipocrisie, ideologismi, piccoli e grandi mafie che gestisce ogni angolo d’Italia.

Un film politicamente scorretto in cui due trentenni sono costretti a fingersi una coppia di fatto gay perché è l’unico modo per accedere a un finanziamento della Regione Puglia per giovani imprenditori. Una satira della “pink mafia” ma anche – e soprattutto – del mondo del giornalismo, visto che il film è una tra le pochissime opere cinematografiche ambientate in gran parte nella redazione di un quotidiano locale. E ahimé – pur nella caricatura – Vicino dice tutte cose vere: dai caporedattori raccomandati e ignoranti al boss di turno che detta la linea editoriale sulle inchieste che si possono o non si possono fare, fino al direttore coscienzioso ma impotente. Il tutto raccontato attraverso una mitragliata di battute memorabili da far invidia a Nanni Moretti e Woody Allen ma senza un briciolo di qualunquismo.

Vicino recupera i tipi e i meccanismi della commedia classica (giochi di parole, equivoci, continuo scontro tra “buoni” e “cattivi”) ma li reinventa lasciando spazio alle sorprese. E anche la satira sul mondo gay si tiene lontano dalle esasperazioni e dalla volgarità e confeziona un film che per certi versi appare come un contraltare del delizioso e altrettanto divertente (ma assai più frivolo) Gli amanti passeggeri di Almodovar, ma finisce per assomigliare soprattutto alla satira popolare e anticonformista di Commediasexi di D’Alatri.

La regia di Vicino è più sobria, rispetto a quella alla Tarantino di Young Europe (sua opera prima) e si regge tutta su una sceneggiatura di ferro (dello stesso Vicino) e su un impeccabile cast capeggiato da Massimo Ghini, Claudia Potenza, Andrea Bosca e il sempreverde Nicolas Vaporidis, che ritrova sul set l’attore con cui debuttò – quasi dieci anni fa – nella sit-com mai andata in onda Dago e Flash: Riccardo Leonelli. L’attore ternano appare ormai chiuso nel ruolo dell’algido bastardo (già interpretato in Centovetrine e Young Europe) in cui risulta, comunque, senza dubbio credibile. Così come credibile – e spassosa, nel suo primo ruolo comico – è l’altra ternana presente nel film: Camilla Ferranti, caporedattrice super-raccomandata perché amante proprio del boss interpretato da Leonelli. Contraltare dell’arrivista Ferranti è invece Giulia Michelini (lanciata dieci anni fa da Distretto di polizia nel ruolo di sorellina di Claudia Pandolfi) giornalista agguerrita e idealista.

Unica nota non sempre intonata, l’accento pugliese imposto a tutti gli attori ma a volte un po’ forzato e quasi parodistico, fatta eccezione per la straordinaria Potenza (di nome e di fatto) che, non a caso, pugliese lo è davvero.

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