Le lacrime di Borromini

Monicelli diceva che i seguiti non bisognerebbe mai farli. Quando lo intervistai mi spiegò che per quanto possa essere bello, un seguito, ha sempre il difetto di arrivare secondo.
Lui in realtà ne fece due: quello dell’Armata Brancaleone e quello di Amici miei, ma in entrambi i casi si rifiutò – nonostante il successo – di girare anche il terzo.E forse fece male, perché se pure fosse vero che un seguito non riesce mai ad essere all’altezza del primo, è statisticamente provato che il terzo, invece, molto spesso lo supera.Basti pensare a Indiana Jones, dove è unanime parere che il capolavoro sia L’ultima crociata. O a Sherlock Holmes: anche se il giudizio popolare non mi trova, in questo caso d’accordo, è innegabile che il romanzo più famoso sia “Il mastino dei Baskerville”.
E che dire del “Signore degli anelli?”. Io non ne ho visto né letto nessuno, ma se a vincere l’Oscar è stato il terzo episodio qualche motivo dovrà pure esserci.Non c’è da meravigliarsi, dunque se “Le lacrime di Borromini”, di Fabio Bussotti, terzo capitolo delle avventure del commissario dell’Esquilino Flavio Bertone, sia il più bello della trilogia scritta dall’attore che ha dato il volto al più bel frate Leone della storia del cinema francescano ma anche a Banana – uno dei più celebri personaggi delle pubblicità anni ’80.Se con “L’invidia di Velazquez” (2008) era riuscito a creare una sorta di versione intelligente e colta del Codice Da Vinci e “Il cameriere di Borges” nel 2012 aveva celebrato l’Argentina un anno prima dell’avvento di papa Bergoglio, questa volta Bussotti sfida addirittura Indiana Jones e ne esce a testa altissima.

“Le lacrime di Borromini” forse lascia un po’ più ombra – rispetto ai libri precedenti – l’artista da cui prende il nome e a cui rende omaggio – ma è davvero un mix assolutamente perfetto tra giallo, excursus storico-artistico, avventura e storie di ordinaria umanità.

Molto ordinaria, bisogna dire. Perché se quella di “antieroe” è la definizione più inflazionata e abusata della critica letteraria e cinematografica, Bussotti, per non lasciare alcun dubbio a proposito, ha creato davvero l’eroe più squallido e riluttante che si possa immaginare: uomo di mezza età, semi alcolizzato e bestemmiatore incallito, per restare fedele all’antiretorica del suo autore in questo romanzo chiude definitivamente il flirt con una storica dell’arte spagnola, grassottella ma di indubbio fascino – e si innamora di un’infermiera ultracinquantenne abbandonata dal marito e con figlio universitario, reduce da un ictus e pure da un tumore.

Ma la cosa più curiosa è che questo commissario, che mantiene le iniziali dell’autore ma prende il nome da Flavio Insinna (a cui, pare, assomigli molto) il cognome da Tarciso Bertone e la provenienza molisana e il lavoro al commissariato di via Petrarca dal protagonista di Quel pasticciaccio brutto di via Merulana di Gadda, in questa terza avventura deve vedersela proprio col suo omonimo segretario di Stato Vaticano, all’interno di un complotto che coinvolge anche Servizi segreti, governo israeliano e palestinesi.
D’altra parte, per immaginare un complotto vaticano, Bussotti non poteva scegliere periodo migliore di quello in cui è ambientato il romanzo: il 2012, l’anno in cui tutte le cospirazioni d’oltre Tevere raggiunsero il culmine, tanto da portare addirittura alle dimissioni del Papa. Con regista indiscusso – anzi, assai discusso – proprio il Segretario di Stato, che oggi viene considerato il principale antagonista di papa Bergoglio.
Il romanzo più politico di Bussotti è anche il più appassionante (quantunque consiglio a gran voce la lettura anche degli altri due gioielli): il mix tra attualità, avventura alla Indiana Jones, cospirazioni e complotti alla Dan Brown, ma il tutto raccontato con il disincanto e il neorealismo che sono diventati ormai la cifra stilistica dell’attore-scrittore.

Confesso che “L’invidia di Velazquez” è stata una delle principali fonti di ispirazione del mio “Segreto del Santo innamorato” (non a caso ho iniziato a leggerlo un anno prima di cominciare a scrivere) e “Il Cameriere di Borges” uno dei principali punti di riferimento in fase di revisione del romanzo, tanto che a Bussotti ho dedicato uno dei personaggi del libro. Ora, questo terzo libro mi ha fatto venire la voglia e l’ispirazione per raccontare anche io una nuova avventura di Valentino (e su come raccontarla).

Credo che “Le lacrime di Borromini” sia in assoluto il libro che ho letto più vicino alla sua uscita in libreria (appena qualche mese dopo, finora tra la pubblicazione e la mia lettura c’erano anni) e l’unica cosa che non mi piace di questo libro, è l’idea di dover aspettare troppo tempo prima di poter leggere il prossimo. Infine, confesso un peccato: finito di leggerlo, mi era venuta così tanta voglia di gialli storico-artistici che, non avendone un altro di Bussotti, ho dovuto ripiegare – ebbene sì – su “Inferno” di Dan Brown.

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