LE CONFESSIONI di Roberto Andò

ovvero La Grande Bellezza versione Bildberg.

Lo confesso: mi sono addormentato.

Lento, pesante, pretenzioso, il film di Andò scimmiotta il peggior Sorrentino e sembra voler fare una sorta di seguito di Youth. Anche qui c’è uno spazio chiuso extralusso, grandi nomi del cinema completamente sprecati, cast internazionale e doppiaggio fastidiosissimo (visto che si alterna alla presa diretta quando non ci sono attori stranieri. Quanto sarebbe stato meglio usare le lingue originali con i sottotitoli, rendendo così l’atmosfera internazionale del vertice?). Regia barocca, scenari magniloquenti, volti decadenti, particolari del tutto inutili ma messi lì sperando che lo spettatore gli trovi un qualche significato, celebrità trasfigurate (se Sorrentino nell’ultimo film ci ha messo un finto Maradona, Andò nel G8 ci piazza anche J.K. Rowling  e Bono Vox) – e su tutti,  Toni Servillo che si aggira inutile e disincantato  tra grandi bellezze e umane pochezze.

E allora Roberto Andò dovrebbe confessarselo, il peccato di aver sprecato un’occasione d’oro: quello di mettere a confronto la finanza mondiale e la spiritualità monastica dicendo qualcosa di intelligente.

Invece, alla fine il film – così pesante, lento e pretenzioso – non dice proprio nulla. Si spaccia per un giallo, e non lo è. Si spaccia per una riflessione sull’economia, e di economia non dice niente, mette al centro della scena un monaco certosino che legge Bonaiuti e professa libertà di pensiero, ma alla fine non esprime niente di diverso da quello che possiamo sentire da qualsiasi prete televisivo.

Servillo e Andò, confessate: perché avete fatto questo film?

 

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