Pietro Taricone

La puntata “Adesso in onda” n.279 con l’intervista inedita a Pietro Taricone

A volte la sorte sa essere ferocemente ironica.

Pietro Taricone è morto la notte del 29 giugno, giorno del suo onomastico, ucciso da un corso  sulla sicurezza nel paracadutismo.

“O’ guerriero” del Grande Fratello è rimasto vittima dell’ultima delle sue grandi passioni – quella del volo – dopo una lotta contro la morte durata quattordici lunghe ore.

Taricone si era lanciato nel vuoto per la prima volta appena due anni fa, ma in 24 mesi aveva accumulato ben 400 lanci e veniva considerato un paracadutista esperto. Teatro dei suoi voli l’Aviosuperficie di Terni, una struttura discussa che ha visto morire, negli ultimi tre mesi, ben tre paracadutisti.

A gestirla è l’Atc, l’azienda dei trasporti di Terni presieduta da Sergio Sbarzella, ma i corsi di paracadutismo e i lanci sono organizzati dalla scuola “The Zoo” di Riccardo Paganelli, 35 anni, finito lo scorso inverno al centro di un’aspra polemica politica quando organizzò una manifestazione con “Gli arditi” un’associazione che fa riferimento all’organizzazione di estrema destra Casa Pound. Alla manifestazione aveva preso parte anche lo stesso Taricone, finendo nel vortice della polemiche.

“Pietro frequentava da un anno e mezzo l’aviosuperficie – racconta Paganelli – aveva frequentato il  corso allievi e ottenuto anche la licenza ministeriale, poi aveva seguito dei corsi di perfezionamento negli Stati Uniti”.

“Veniva molto spesso nella nostra struttura” spiega Sbarzella. “Per lui, mi disse una volta, il paracadutismo non era solo uno sport, ma un’attività formativa per  l’equilibrio psico-fisico della persona”. Una passione condivisa con la compagna, l’attrice polacca Kasia Smutniak, e con la figlia Sofia di appena sei anni, che era presente anche al momento della tragedia.

“Quando ho cominciato a lanciarmi mi sono innamorato di questo sport – aveva raccontato Taricone pochi mesi fa – ‘Saltare’ da 4.500 metri con un paracadute a profilo alare è un’esperienza unica, che vorrei potessero conoscere anche altri. Lo sport ci aiuta a crescere, a incanalare le energie nel giusto modo, a stare lontani da quelle derive nichiliste che continuano a cercare di imporci come modelli culturali”. Pietro era arrivato a considerare il paracadutismo quasi come una missione: “Avvicinare i ragazzi allo sport, dargli una mano a comprendere e amare anche quelle discipline che finora sono rimaste privilegio di pochi è il mio modo di fare volontariato’’.

Nonostante l’esperienza acquisita, Pietro aveva deciso di frequentare, in questi giorni, un corso di vela intermedio sulla sicurezza.

“Il paracadute moderno è una vera e propria ala che avanza – spiega Paganelli – ed è importante imparare a pilotarlo senza farsi male”. Tanto più quando si eseguono manovre particolarmente complesse e pericolose.

Il corso di cui è rimasto vittima Taricone, in particolare, si concentrava sulla fase di atterraggio: “Normalmente – spiega ancora Paganelli – ci si lancia con il paracadute da un altezza di 4000-4500 metri, si procede in caduta libera fino a circa 1500 metri, poi si apre il paracadute”.

In questo caso, invece, il lancio avviene direttamente a 1500 metri di altezza: “Il paracadute si apre a 1200 metri di altezza, poi il paracadutista deve compiere un vero e proprio circuito per atterrare, seguendo una serie di punti immaginari segnalati dall’altimetro da polso e da un segnalatore acustico. Il corso serve ad imparare bene ad eseguire il circuito”.

Pietro Taricone, reduce dal successo del telefilm “Tutti pazzi per amore 2”, arriva a Terni venerdì 25 giugno, insieme a moglie e figlia, 7 amici e lo stesso Paganelli, e inizia subito i lanci pernottando in un albergo della zona.

Quella di lunedì, quarto giorno di lanci, è una giornata particolarmente serena. Il tempo è ottimo, il migliore per lanciarsi e l’idea è di effettuare quattro lanci in tutto. Con Pietro ci sono Kasia e la figlia Sophie.

La mattinata si apre una lezione teorica. Poi gli otto paracadutisti, divisi in due gruppi di quattro, partono su due Cessna. Il primo lancio riesce perfettamente. Appena atterrati, Taricone e amici salgono nuovamente sull’aereo  per il secondo lancio. Pietro è il primo a saltare. Kasia rimane sull’aereo, in attesa del suo turno. Il paracadute si apre regolarmente, dopo due e o tre secondi dal lancio, poi la caduta dura circa quattro minuti. Al momento dell’atterraggio, però, qualcosa va storto. “La virata che avrebbe dovuto compiere a 100 metri di altezza, la fa ad appena 20 metri dal suolo” spiega Paganelli. Di fatto, Pietro manca la frenata e si schianta a terra, a circa 80 chilometri orari, cadendo a faccia avanti.

Kasia è ancora sull’aereo in attesa di lanciarsi. Paganelli è a terra, non lo vede cadere ma è avvertito da un collaboratore. Come sia stato possibile l’incidente, non riesce a spiegarselo nemmeno lui. Esclusa l’ipotesi di un malore, c’è chi parla di una “spacconata”: insomma O’ Guerriero avrebbe atteso l’ultimo momento per quella maledetta virata. Paganelli parla di “distrazione”. “Di certo – aggiunge – io non avrei mai fatto quella virata a venti metri”.

Il titolare della scuola, che è anche proprietario degli aerei, esclude anche qualsiasi problema legato all’aviosuperficie stessa. “Ci sono stati tre morti in tre mesi, è vero. Ma è vero anche che il nostro è il secondo centro più grande d’Italia. Abbiamo numeri che gli altri non hanno e purtroppo nel paracadutismo ci sono morti e feriti. D’altra parte le statistiche ci dicono che gli incidenti in atterraggio, negli ultimi anni sono aumentati. Ci si lancia di più, e ci sono più infortuni. Il paracadutismo rimane uno sport estremo, anche se si fa di tutto per renderlo più sicuro”.

Quella con Taricone, prosegue il paracadutista, era un’amicizia recente, ma intensa. “E’ nata con il paracadutismo, ma è andata oltre. D’altra parte quando ci si lancia insieme, inevitabilmente si diventa amici per la pelle”.

All’ospedale di Terni Pietro arriva, dopo una corsa disperata, alle 14 del pomeriggio ed entra subito in sala operatoria per un interminabile intervento di nove ore in cui i medici tentano di bloccare le due emorragie al bacino e alla testa.

Fuori dalla porta della sala operatoria il silenzio è assordante. Insieme alla compagna di vita e a quelli di volo ci sono gli amici di sempre: quelli di Trasacco, paese in provincia dell’Aquila dove Pietro è nato, e quelli di Caserta, dove è cresciuto.

Lacrime, abbracci, poche parole. Silenzio e attesa. Quando si avvicina don Dumitru Podac, il cappellano dell’ospedale, qualcuno tira fuori il santino di San Cesidio, patrono di Trasacco, che la tradizione vuole figlio di Rufino, il patrono di Assisi.

In tarda serata qualcuno di loro sale nella cappella dell’ospedale e si raccoglie in preghiera per qualche minuto.

Ma non sono solo gli amici, a pregare: Gianluca Vecchietti e Claudia Tarani, Taricone, lo conoscevano solo di vista. “Abbiamo una bambina di cinque anni, come lui, e il sabato la portiamo spesso a vedere i paracadutisti e gli aeroplani. Lo vedevamo spesso lanciarsi. Quando abbiamo sentito la notizia al telegiornale siamo venuti in ospedale per pregare nella cappella”.

Nella tarda nottata la fine dell’agonia, e della speranza: Pietro è morto. Morto in grazia di Dio, spiega don Dumitru: “Durante l’intervento sono entrato in sala operatoria e gli ho impartito la benedizione e l’assoluzione dai peccati”. Un rito breve e discreto, che sostituisce, in casi di emergenza anche l’estrema unzione.

Ora è il tempo della rabbia e delle lacrime. Con la certezza, almeno, che la sua anima è tornata in quel cielo nel quale con tanta passione il suo corpo aveva nuotato.

(da Visto – luglio 2010)

 

 

 

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