INTERVISTA A STEFANO ZAVKA

 


Eravamo stati boy scout insieme, con Stefano Zavka, l’alpinista che ha conquistato venerdì scorso la vetta del K2 ma non è più tornato indietro.

Avevamo condiviso, in quei anni in cui ci eravamo incrociati al reparto Terni 1, il leggendario campo internazionale a Monte Alago, durante la quale proprio gli scout salvarono il bosco da un incendio divampato nel pieno dell’estate.

L’ho incontrato di nuovo a sedici anni di distanza, quando – nell’estate del 2004 – tentò la scalata al K2 prendendo parte alla spedizione organizzata dal Governo per celebrare il cinquantenario della conquista, tutta italiana, della vetta. Avevamo realizzato, prima della partenza, una lunga intervista per Il Giornale dell’Umbria;  poi avevo seguito la sua impresa giorno per giorno con una cronaca quotidiana delle varie tappe. La vetta, Stefano, allora la mancò per poco, fermandosi a 400 metri dal traguardo. Quando tornò in città, con il sogno mancato nelle tasche, realizzammo una seconda intervista per il Giornale dell’Umbria.


Da allora non ci siamo più rivisti, fino alla primavera di quest’anno, quando – durante la presentazione del festival delle arti contemporanee “Nutrimenti” – Stefano ha annunciato il suo secondo tentativo di scalata tenendo una breve conferenza incentrata sul senso del “limite”.

L’abbiamo seguita un po’ più in disparte, questa sua seconda impresa, anche se quando la vetta, questa volta, l’ha conquistata, abbiamo esultato anche noi con un articolo pieno di entusiasmo; anche se già era percepibile, nei commenti dei suoi amici, la preoccupazione per il ritorno, vista la bufera che si stava preparando sulla vetta della seconda montagna più alta del mondo. Un ritorno che non c’è stato. Subito dopo aver raggiunto l’agognato obiettivo Stefano è scomparso, e da allora nessuno ha più avuto notizie di lui.

Riporto qui di seguito le due interviste realizzate con Stefano nel 2004.

 

ZAVKA, COMINCIA L’AVVENTURA SUL K2

 

Il Giornale dell’Umbria  9 giugno 2004

 

TERNI – Comincerà oggi l’avventura del ternano Stefano Zavka alla conquista del K2, che con i suoi 8600 metri è la seconda vetta più alta del mondo, ma in assoluto la più difficile da scalare. Zavka, che ha 32 anni ed è l’unico umbro ad essere diventato una guida alpina, si unirà alla spedizione organizzata dal governo italiano per celebrare i cinquant’anni della conquista della vetta della montagna proprio ad opera di un gruppo di italiani capitanati da Ardito Desio. Un’impresa per la quale Zavka si sta preparando da un anno e che rappresenta il coronamento del sogno di tutta una vita”. “Ho iniziato ad andare in montagna sin da bambino – racconta – anche grazie ai miei genitori. Mio padre è alpinista, e con le dolomiti e le alpi a portata di mano non era difficile coltivare questa passione”.

 

Come si è trasformata, questa passione, in un lavoro?

 

“Con i miei amici si andava sempre al Gran Sasso, poi ho fatto due anni di militare con gli alpini in Val D’Aosta, come istruttore. E’ stata una naturale evoluzione. Da passione, l’alpinismo è diventato un’attività, e da quattro anni un lavoro, anche se il brevetto di guida l’ho conseguito appena due mesi fa”.

 

Perché sei stato scelto dal Ministero?

 

“Siamo in due-tre nel centro Italia, a fare questo tipo di attività, quindi era normale che venissi contattato, anche se per me rappresenta la prima esperienza fuori Europa”.

 

Quale sarà l’aspetto più difficile di questa impresa?

 

“L’adattamento alla quota. La scalata in sé non mi preoccupa, perché sono allenato. Ma l’adattamento alla quota lo puoi fare solo là. In Europa, la cima più alta è 4800 metri; più bassa del campo base che avremo in Pakistan”.


Che problemi può creare l’alta quota?


“C’è meno ossigeno, quindi respiri di meno, il battito cardiaco deve regolarsi diversamente. Le conseguenze vanno dalla nausea e il mal di testa all’endema cerebrale. Per questo bisogna essere in condizioni fisiche ottimali. Anche solo un raffreddore non sarebbe recuperabile”.


Allora perché avete scelto di non usare le bombole di ossigeno?


“E’ una questione etica. La nostra non è una spedizione con finalità scientifiche, ma sportive, quindi vogliamo farcela con le nostre forze”.


Ci saranno medici tra voi?

“Sì, medici alpinisti, poi ognuno di noi sarà attrezzato con farmaci e siringhe”.


In cinquant’anni solo cento persone sono riuscite a salire sulla vetta mentre quasi sessanta sono morte durante il tentativo. Non hai paura?


“Certo, i rischi sono alti. Ma al K2 un alpinista non può dire di no. E poi anche andare in autostrada è pericoloso, se uno dovesse assecondare le proprie paure non dovrebbe più uscire di casa”.


In caso di pericolo come vi regolerete?


“Abbiamo i telefoni satellitari, ma a quella quota non arrivano nemmeno gli elicotteri, quindi dovremo cavarcela da soli. In quelle situazioni bisogna saper prevedere tutto e stare estremamente attenti alle condizioni metereologiche. Se arriva una tempesta mentre tenti la vetta non hai scampo”.


Cosa provi quando ti trovi sospeso nel vuoto?


“E’ una sensazione che mi piace, ma un’emozione controllata, non c’è esaltazione in quei momenti. Sei così concentrato che non c’è spazio per la paura. Ma certo, se vuoi fare queste cose di vertigini non puoi soffrire!”.


Quanto tempo impiegherete per raggiungere la vetta?


“Prima ci sarà una lunga fase di preparazione. Monteremo 3 o 4 campi prima di tentare la vetta. Si fa un lavoro di squadra: si scava nella neve, si monta la tenda, si posizionano le attrezzature e si torna al campo base”.


Come si scala una montagna come il K2?


“Ci si sposta attraverso i campi, partendo di notte e arrivando nel pomeriggio, a tratti camminando, a tratti arrampicandosi, legati con la corda. Così andremo avanti fino alla fine di luglio. Poi, quando tutto sarà pronto, si tenterà la vetta, che dovremmo raggiungere in quattro o cinque giorni”.


A quando risale l’ultima salita?


“A tre anni fa. Dopo di allora, a 8300 metri, un blocco di ghiaccio si è spaccato modificando l’itinerario, quindi saliremo senza sapere in realtà cosa ci aspetta”.


Cosa penserai quando sopra di te non ci sarà più nulla?


“Beh, prima bisogna vedere se ci arrivo. Le possibilità, in realtà, sono minime. Ci sono tante di quelle variabili, che è estremamente improbabile che tutti i componenti della spedizione arrivino fino in cima. La salita alla vetta è solo un plusvalore”.

Cosa ti spinge a scalare le montagne?


“Quando sei lassù hai un senso di benessere, di libertà, che è impossibile descrivere a parole”.

 

“BELLISSIMA ESPERIENZA, MA PREFERISCO IL MONTE BIANCO”

 

Il Giornale dell’Umbria – 12 agosto 2004

 

“Se ci riproverei? Appena tornato già avrei detto no, mai più. Adesso che è passato qualche giorno dico che si può fare, anche se non so né quando né come”

Sono passati qundici giorni dal giorno in cui Stefano Zavka ha dovuto dire addio al sogno di raggiungere la vetta del K2 e per adesso non ne vuole sapere di tornare da quelle parti. “E’ stata un’esperienza molto stressante, in cui la fatica ha superato il divertimento”.

Unica guida alpina umbra, Stefano è tornato a Terni da appena due giorni, anche se è già in partenza. Due giorni al mare, e poi ancora in montagna, questa volta in Trentino, per lavoro.


Ti mancavano solo 500 metri per arrivare alla vetta, quando hai deciso di tornare indietro. Ti sei pentito?


“Quando ero lì non ho avuto esitazioni. Senza i guanti per l’alta quota non ero nelle condizioni necessarie per continuare. Certo, adesso i dubbi cominciano a venire: cosa sarebbe successo se avessi proseguito? Ma se penso che dei nove scalatori che hanno raggiunto la vetta, quattro ci hanno lasciato le dita,  beh, sono contento di non aver rischiato, perché le mani mi servono, anche per lavorare. Tieni conto del fatto che erano tutte persone più esperte di me e che si trovavano in condizioni migliori delle mie. Lo spagnolo che abbiamo salvato per miracolo era al suo ventiduesimo ottomila”.


Come è andato questo salvataggio?


“Lui stava tornando dalla vetta. Gli spagnoli lo hanno aspettato per ore ed ore al campo, ma lui non si vedeva. Così sono partite le ricerche. A due dei nostri che stavano raggiungendo la vetta è stato ordinato il dietro-front per cercarlo. Poi lo hanno ritrovato privo di senso. Io, appena arrivato al campo base, sono ripartito insieme ad altri ragazzi per soccorrerli”.

 

Quale è stato l’aspetto più difficile di questa impresa?


“Il clima sicuramente. Rispetto alle nostre montagne queste sono molto più semplici da scalare, ma è l’altitudine, la mancanza di ossigeno che debilita e rende tutto più complicato e pericoloso. Anche perché la nostra era una spedizione  sportiva e avevamo deciso di non utilizzare le bombole di ossigeno. E anche l’escursione termica è abbastanza traumatica: si passa da 40 gradi dentro la tenda a meno venti”.


In questi due mesi è stato tutto un susseguirsi di eventi drammatici. Sin dall’inizio, quando sono morti cinque vostri portatori in un incidente.


“E’ stato molto triste, anche perché quella è stata una tragedia che si poteva evitare. Dovevamo attraversare un fiume, ma anziché passare per il ponte hanno voluto tagliare calandosi nell’acqua, con 20 chili di materiale sulle spalle, e sono stati trascinati via dalla corrente”.


Poi sono cominciati a venire fuori i cadaveri dalla neve…


“Anche quello non è stato piacevole, anche se è una cosa che metti in conto. Sul K2 muore gente in continuazione. Anche prima che partissimo ci sono stati tre dispersi in una spedizione russa. Certo, fa un certo effetto imbattersi in scheletri con ancora gli scarponi addosso. D’altra parte quando un alpinista muore in un incidente, di solito il corpo si lascia in un crepaccio, ma quando il ghiaccio si scioglie rilascia i corpi, o i resti, come è accaduto con quelli di Casarotto, morto diciassette anni fa proprio tra le braccia di Da Polenza, e di cui abbiamo ritrovato una parte del corpo”.


Proprio Da Polenza, durante la spedizione, è stato costretto a tornare in Italia per assistere la moglie, morta proprio il giorno della conquista della vetta.


“In realtà era proprio lei ad insistere che restasse. D’altra parte Da Polenza ha un tale carisma che è riuscito a dirigere la spedizione anche per telefono”.


Il primo a congratularsi con voi è stato il ministro per le politiche forestali Gianni Alemanno, che vi ha raggiunto anche al campo base.


“Lo avevo già conosciuto in altre occasioni, perché lui  è veramente un amante della montagna. Devo dire che, al di là del giudizio politico, è una persona molto semplice, curiosa e alla mano”.


Che rapporti si sono creati con gli altri alpinisti della spedizione dopo due mesi di convivenza?


“Direi professionali, non sono nate particolari amicizie. Come sempre accade in questi casi, ci sono persone con cui vai più d’accordo e altre meno. Molti, poi, li conoscevo già. In questi casi il rapporto si è rafforzato ma, come è naturale, ha anche mostrato i suoi limiti”.


Che effetto ti ha fatto avere il riflettore puntato per così tanto tempo?

“In realtà noi il riflettore lo abbiamo sentito poco. Si, c’erano i giornalisti e le televisioni al campo base, ma la verità è che in questi casi sei solo tu e la montagna. Certo, eravamo coscienti che se avessimo fallito la delusione sarebbe stata grande. Ci è andata bene:eravamo due spedizioni governative, e l’altra, sul versante nord, ci sta ancora provando”.

 

Il sito della spedizione K2 Freedom


www.montagna.tv


Il sito web di Stefano Zavka

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