Il Papa che chiede scusa

di Arnaldo Casali

Papa Francesco va in Perù e in Cile, e ci va con il dichiarato intento di affrontare – tra le altre cose – anche lo scandalo pedofilia, incontrando le vittime di abusi.

Il papa però difende un vescovo –  Juan Barros – coinvolto nello scandalo. Prima di ripartire un giornalista gliene chiede conto e lui risponde – secco – che non ci sono prove della sua colpevolezza e quindi quelle su di lui sono solo calunnie.

La dichiarazione scatena la polemica: le vittime di pedofilia sono indignate e deluse.

Il cardinale Sean Patrick O’Malley, presidente della commissione sugli abusi voluta dallo stesso papa Francesco, interviene sulla questione. E a questo punto avviene qualcosa di inaudito nella Chiesa: anziché gettare acqua sul fuoco, come diciamo noi giornalisti, anziché minimizzare l’accaduto e difendere il Papa, magari dicendo che le sue parole sono state travisate, il cardinale O’Malley si schiera dalla parte delle vittime e critica apertamente il Papa, dicendo che le  ha fatte sentire abbandonate e aggiunge che in questi casi non si possono chiedere “prove” perché non è che quando un prete violenta un bambino gli rilascia un certificato.

A questo punto accade un’altra cosa completamente inaudita: il Papa, anziché tacere, anziché restare il silenzio progettando la rimozione di O’Malley, anziché difendersi, il papa chiede scusa. Ammette di aver sbagliato: “Ha ragione il cardinale O’Malley”, dice il Papa.

Ribadisce la sua convinzione che il vescovo incriminato sia innocente, ma riconosce – in qualche modo – di averla fatta fuori dal vasino.

Vent’anni fa, quando Giovanni Paolo II chiese scusa a nome della Chiesa per le crociate e l’inquisizione, fu attaccato da destra e da sinistra: da destra dicevano che se la Chiesa riconosce i propri errori presta il fianco ai propri nemici, perché chi oggi si trova in conflitto con il Vaticano può dire: “Domani la Chiesa mi chiederà scusa”. Da sinistra dicevano che Giovanni Paolo II chiedeva scusa per gli errori dei suoi predecessori, ma si guardava bene dal farlo per i suoi.

Oggi quella rivoluzione iniziata con il Giubileo del 2000 sembra arrivata a compimento: Papa Francesco non chiede scusa per gli errori compiuti cinquecento anni prima, ma per quelli compiuti quindici ore prima.

E’ proprio questo l’atteggiamento che più gli rimproverano i fanatici reazionari che gli fanno la guerra: se la Chiesa ammette di sbagliare, non può più pretendere di insegnare agli altri. Il punto è proprio che Francesco non sembra voler insegnare il cristianesimo agli altri, quanto piuttosto, testimoniarlo.

Inventando una frase di san Francesco in realtà mai pronunciata, ma perfettamente aderente al suo spirito, Bergoglio ama ripetere: “Predicate il Vangelo in tutti i modi possibili, se necessario anche con la parola”.

Credo di questi tempi non c’è davvero insegnamento più grande di quello di riconoscere i propri errori, di accettare le critiche, di dire che chi ti attacca pubblicamente ha ragione.

E non è una cosa che dovrebbero imparare solo i politici o gli uomini di potere, badate bene. E’ una cosa che ci riguarda Tutti:  riguarda tutti noi che siamo così bravi ad esternare pareri trancianti  su facebook, e a reagire in modo aggressivo alle critiche che ricevono. Diciamo la verità: quante volte rileggiamo gli attacchi feroci che spesso postiamo sui social? E quante volte leggiamo con attenzione quelli che ci fanno a noi, prima di replicare?

La verità è siamo tutti sempre più arroccati su noi stessi, sempre sulla difensiva: la parola d’ordine è “blastare”: ci hanno messo in testa che ammettere di sbagliare è un segnale di debolezza, che ascoltare gli altri è una perdita di tempo. Ci piacciono i politici che si insultano perché ci assomigliano.

Per questo quell’uomo infallibile per professione e per dogma che ammette i suoi piccoli e grandi errori testimoniando come mettersi in discussione sia una prova di forza e non di debolezza, è il più grande profeta del nostro tempo.

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