IL LAUTO PASTO DEL LUPO

No, proprio mansueto non è stato.

Mentre la Lupa si mangiava il centrosinistra e consegnava per la prima volta nella sua storia le chiavi della città eterna ai post-fascisti, suo marito tentava di sbranare il soprascritto, nell’impassibile e indifferente Museo dei gessi della Facoltà di Lettere a "La Sapienza".

Francescano sì, ma armato di una tesi di 270 pagine fitte di riflessioni filosofiche, citazioni bibliografiche e dotte trascrizioni di minoritico sarcasmo, il Nostro neodottore si lanciava in un’epica battaglia contro la feroce Commissione, decisa a stroncare un lavoro costato 11 anni di ricerca, 5 di stesura e 6 mesi di revisioni, oltre che ettolitri di lacrime, sangue e risate, forte – badate bene – non di strafalcioni, inesatezze, refusi di stampa o punti mancanti alla fine delle note, ma di opinioni diverse sul concetto stesso di umorismo e sull’idea che si possa applicare al medioevo cristiano.

E fu battaglia: domande a trabocchetto, contestazioni continue, l’attacco partito – a tradimento – proprio da chi della tesi doveva farsi garante, con l’ostinazione nel voler dimostrare alla severa Commissione che quella che si presentava come un’esegesi storica delle fonti medievali era in realtà solo una raccolta di fantasie letterarie e un insieme di opinioni discutibili.

A tutto ciò il nostro eroe resisteva fieramente, rispondendo a domanda su domanda, argomentazione su argomentazione senza perdersi d’animo e anzi, trovando particolarmente divertente un esame che gli era stato presentato come una formalità e si trasforma invece in un dotto dibattito storico-teologico galvanizzando il neo medievista che ribatte come un esperto tennista a critiche e obiezioni illustrando, argomentando, approfondendo ogni critica, ogni appunto, ogni dubbio avanzato da chi pugnala alle spalle e da chi continua a guardare lo spavaldo e gioviale candidato con un misto di indifferenza ed ostilità.

"Una tesi sull’umorismo di Francesco d’Assisi non ha senso, perché non ha senso parlare di umorismo per un uomo del medioevo. E infatti nessuno ha mai scritto niente in proposito".

"Eppure Chiara Frugoni ha pubblicato un libro chiamato Francesco il santo che sapeva ridere, il Dizionario francescano e le Fonti francescane contengono la voce umorismo e Chesterton, Gemelli, Christopher Coelho e Nazzareno Fabbretti hanno parlato di umorismo a proposito di Francesco d’Assisi. Insomma, tutti sembrano dare per scontato che Francesco avesse senso dell’umorismo; nessuno però – prima di me – si era mai scomodato ad approfondire l’argomento, a trattarlo in modo sistematico e scientifico, non basandosi solo sulle proprie intuizioni o su una chiave di lettura spirituale, ma su dati oggettivi. Per quanto possono essere oggettivi, è ovvio, dati che riguardano un concetto – tutt’ora in discussione – come quello dell’umorismo".

"Però lei parla di umorismo di Francesco anche quando Francesco non scherza, non ride, non sorride".

"Perché io non mi sono limitato a trattare l’umorismo come semplice capacità di ridere e scherzare, ma l’ho invece analizzato in una prospettiva esistenziale, definendolo come capacità di elaborare il comico, laddove per comico si intende la percezione di una contraddizione. D’altra parte lo stesso Pirandello diceva che l’umorismo è una cosa maledettamente seria".

"Lei cita padre Gemelli, un grande personaggio, l’unico che ci è rimasto contro padre Pio! Ma se lei legge quello che ha scritto si rende conto che Gemelli fa letteratura, spiritualità. Quello che dice non ha niente di scientifico".

"E infatti io lo critico, Gemelli! E dico molto chiaramente che non concordo con la sua visione di umorismo francescano. Tanto più che Gemelli confonde Francesco e Francescani, parlando genericamente di un "Francescano" ideale che, evidentemente, lui considera il frate minore perfetto e che avrebbe recepito in pieno il messaggio umoristico di Francesco. Ma questo è assurdo, perché l’umorismo è un’attitudine caratteriale, che non si può lasciare in eredità o insegnare".

"Eppure la Chiesa ha una lunga tradizione di scherzi e comicità".

"Ma la comicità è cosa diversa dall’umorismo. La comicità si può insegnare, come si può insegnare la gestualità. Ma l’umorismo non si può insegnare. Puoi insegnare a far ridere la gente, ma non a ridere di te stesso. E infatti anche nella storia francescana abbiamo una lunga tradizione di frati giullari, come Bernardino da Siena, ma questo non significa che avessero senso dell’umorismo, anzi. Spesso i comici sono persone malinconiche o seriose, insomma totalmente sprovviste di umorismo. L’umorismo è un concetto molto più complesso della comicità, che comprende anche la comicità e altri aspetti, come il rovesciamento dei valori, attuato dai pur seriosissimi, e anzi, direi tragici spirituali. Insomma i frati minori possono aver ereditato alcune espressioni esteriori dell’umorismo di Francesco, ma non l’umorismo in toto".

"Ok basta così".

"Solo una cosa vorrei aggiungere, e cioè che sono pienamente consapevole di aver affrontato un argomento delicato e pericoloso perché ancora oggetto di discussione tra gli studiosi, e che di conseguenza tutto ciò che ho scritto è discutibile. Potete anche confutare i risultati di tutto il mio lavoro, potete dire che è tutto sbagliato. Ma non potete negare che ho portato un contributo al dibattito sull’argomento. E visto che nessuno lo aveva fatto prima di me, credo di aver fatto una cosa utile".

Il processo è finito. Giri le spalle alla commissione ed esci fieramente dall’aula, mentre Eleonora ti sussurra: "Quando si dice discutere la tesi!!" e amici e parenti ti fanno i complimenti.

Non riesci a capire l’atteggiamento assunto, a sorpresa, dal relatore e dal correlatore, dopo tutte le attestazioni di stima nei confronti tuoi e del tuo lavoro, che avevano ripetuto nei colloqui privati. Speri che in realtà, il loro obiettivo fosse quello di metterti alla prova, e dimostrare alla Commissione le tue capacità dialettiche e di argomentazione, anche se la consideri comunque una bastardata. Perché che quando ti sei seduto su quella sedia tremavi di paura e che avevi il terrore di non riuscire nemmeno a mettere insieme un discorso compiuto, beh, questo lo sapevano bene tutti e due; e allora perché cercare di metterti in difficoltà per quella che doveva essere solo una formalità e un momento di festa?

Resta il fatto che ti era stato ripetuto più volte che con quella discussione ti giocavi la lode. E meglio di così, di questo ne sei certo, non potevi fare di certo.

Il campanellino ti richiama in aula in una crescente tensione. Cerchi di ostentare disinvoltura mentre la Presidente della Commissione di Proclama dottore in Lettere con… "110 su 110".

Stringi frettolosamente la mano alla professoressa (quella che non distingueva i concetti di umorismo e di comicità) poi ancora più frettolosamente a relatore e correlatore, senza nemmeno guardarli in faccia. Ma sei certo che nei tuoi occhi si legge benissimo la delusione e il risentimento.

Poi volti le spalle e ti dirigi a grandi falcate verso l’uscita. Non senti nemmeno gli applausi, ma con grande signorilità – ti dirà qualcuno in serata – eviti di lanciare invettive prima di varcare la soglia dell’aula.

Poi ti sfoghi. Il primo a farne spese è l’avvoltoio che vuole venderti le foto della proclamazione. Ci servono almeno quattro strillacci per allontanarlo e farlo rientrare, coda tra le gambe, nel Museo dei gessi.

Beh, sì, insomma, non è che l’hai presa proprio bene.

L’umorismo – e cioè la distanza da sé stessi, la capacità di non prendersi sul serio – non si può imparare da qualcun’altro. L’hai detto proprio tu, pochi minuti fa.

E tu infatti, sarai umorista quanto ti pare, ma la distanza da stesso proprio non l’hai  imparata, in undici anni di frequentazione intima col Giullare di Dio.

Forse avevano ragione Loro.

Nemmeno Francesco te l’avrebbe data la lode. Vatti a rileggere cosa diceva di chi vuol farsi bello con le virtù altrui.

"Come i trovatori cercano la gloria cantando le imprese di Re Artù e di Carlo Magno, così ci sono persone che ricercano la lode parlando delle gesta di santi e dei martiri. Beh, che ognuno si glori del proprio martirio, e non di quello degli altri!".

Perdonami, Francesco. Te l’avevo già detto che sono un coglione?

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2 commenti su “IL LAUTO PASTO DEL LUPO

  1. anonimo il said:

    “L’ODE” ad Arnaldo

    Torna mesto dall’aspra battaglia

    il mite Arnaldo col cuore di paglia,

    però ‘sto lavoro se l’era sudato

    e più che mesto è proprio incazzato!

    Torna e si sfoga con amici e parenti

    che in ogni caso son tutti contenti,

    soltanto lui ci rimugina ancora,

    ma in fondo è successo soltanto da un’ora…

    Gli accademici seriosi hanno sempre paura

    di chi nel loro campo si lancia all’avventura

    e tu hai osato studiare il sorriso

    del dolce Francesco che vive in Paradiso.

    Se anche ti criticano e ti trattano male

    “Che cavolo!” almeno sei stato originale!

    Ma pure se ciò che dico è tutto vero

    lo so che “le parole stanno a zero”.

    Mi dici che son io la tua poetessa preferita

    quindi scrivo qualche verso per lenirti la ferita,

    e anche se un modo per consolarti non c’è

    ti scrivo a grandi lettere “SONO FIERA DI TE!!!”

  2. puc19 il said:

    Ciao Arnaldo, visto che è un po’ che taccio ti volevo solo fare un saluto.

    ciao!

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