DIVIETO DI TRANSITO (CON DONNE, MUSICA E DOLCETTI)

Termina la musica. Il palcoscenico è in penombra, illuminato, possibilmente, solo da candele. Francesco è gravemente malato e quasi completamente cieco. Adagiato su una branda, o su una sedia. Parla con sofferenza ma con voce ancora energica.
Accanto a lui c’è Leone.
 
FRANCESCO: Leone, che cosa ha detto il dottore?
 
LEONE: Il dottore? … niente di particolare.
 
FRANCESCO: Che significa niente di particolare?
 
LEONE: (imbarazzato) Niente, dice che ti devi riposare…
 
FRANCESCO: Ah sì? Mi è venuto a prendere a Siena e mi ha fatto portare d’urgenza ad Assisi, scortato dalle milizie del Comune solo per farmi riposare? Leone, chi ti credi di prendere in giro? Evidentemente la situazione è grave.
 
LEONE: Ma no, è stata una… una misura precauzionale! Non volevano rischiare che tu morissi in un’altra città. Sai, c’era il rischio che poi i senesi si fregassero le reliquie, e avere il tuo corpo è importante per la gente di Assisi.
 
FRANCESCO: Quindi sto per morire.
 
LEONE: Ma no… che c’entra… solo che, solo che a Siena sei stato così male che… ma adesso stai meglio. Stai meglio, no?
 
FRANCESCO: No.
 
LEONE: Ecco.
 
FRANCESCO: Leone, puoi essere sincero con me. Non avere paura, poiché con la grazia di Dio, non sono un codardo che teme la morte. Questa sofferenza è insostenibile, e non vedo l’ora che finisca, e non vedo l’ora di trovarmi fra le braccia di Gesù. Ma la vita resta sempre il dono più prezioso di Dio. Quindi io in questo momento, davvero Leone, per me adesso va bene ogni cosa. Se vivrò ancora un po’ o morirò subito, per me è lo stesso. Sono così intimamente legato al Signore, che sono ugualmente felice sia della morte che della vita.
 
LEONE: Sicuro?
 
FRANCESCO: Sì. Dunque?
 
LEONE: La verità è che la tua malattia è in curiabile e poco ti resta da vivere, così hanno pronosticato i medici. 
 
FRANCESCO: E allora ben venga la mia sorella morte! Prendi carta e penna, Leone. Voglio dettarti il mio testamento.
 
LEONE: Un altro? Ma già me l’hai dettato a Siena! Eccolo qua: “Siccome per la mia debolezza e per la sofferenza della malattia non posso parlare, in tre parole mosterò brevemente la mia volontà e la mia intenzione a tutti i frati presenti e futuri. Cioè, in ossequio alla mia memoria, alla benedizione e al testamento, sempre si amino tra loro come io li ho amati e li amo: sempre amino ed osservino nostra signora la santa povertà, e sempre siano fedeli sudditi dei prelati e chierici della santa madre chiesa”.
 
FRANCESCO: No, Leone. Questo lo abbiamo scritto in fretta e furia, quando mi sono sentito male. Te ne voglio dettare uno vero, con calma.
 
LEONE: Va bene, Francesco. Sono pronto.
 
FRANCESCO: Il Signore concesse a me, frate Francesco, d’incominciare così a far penitenza, poiché essendo io nei peccati, mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi: e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allentandomi da essi, cio che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di anima e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo. E dopo che il Signore mi donò dei frati, nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare: ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo. Ed io, con poche parole e semplicemente lo feci scrivere e il papa me lo confermò.
Mi rileggi quello che hai scritto?
 
LEONE: “Dominus ita dedit mihi fratri Francisco incedere faciendi poenitentiam: quia cum essem in peccatis nimis mihi videbatur amarum videre leprosos”.
 
FRANCESCO: Va bene. Continuiamo:
E quelli che venivano per ricevere questa vita, davano ai poveri tutte quelle cose che potevano avere, ed erano contenti di una sola tonaca rappezzata dentro e fuori, e quelli che volevano, del cingolo e delle brache. E non volevamo avere di più. Ed eravamo illetterati, e soggetti a tutti. E io lavoravo con le mie mani e voglio lavorare, e tutti gli altri frati voglio che lavorino di lavoro quale si conviene all’onestà. Coloro che non sanno, imparino, non ricevere la ricompensa, ma per dare l’esempio e tener lontano l’ozio. Quando poi non ci fosse data la ricompensa del lavoro, ricorriamo alla mensa del signore, chiedendo l’elemosina di porta in porta.
Il Signore mi rivelò che dicessi questo saluto: “Il Signore ti dia pace”.
Si guardino i frati di non accettare assolutamente chiese, povere abitazioni e quanto altro viene costruito per loro se non siano come si addice alla santa povertà, sempre ospitandovi come forestieri e pellegrini. Comando fermamente per obbedienza a tutti i frati che, ovunque sono, non osino chiedere lettera alcuna lla curia Romana, ma dove non siano ricevuti, fuggano in altra terra. E non stiano a dire i frati che questa è un’altra regola: poiché questa è un ricordo, un’ammonizione e un’esortazione e il mio testamento che io frate Francesco poverello lascio a voi, perché osserviamo più cattolicamente la Regola che abbiamo promesso. E il ministro generale e tutti gli altri ministri per obbedienza siano tenuti a non aggiungere e a non togliere niente a queste parole. E sempre tengano con sé questo scritto insieme con la regola. E a tutti i miei frati comando fermamente per obbedienza che non aggiungano spiegazioni alla Regola  dicendo: “Così si deve intendere”. E chiunque osserverà queste cose, sia ricolmo in cielo della benedizione del’altisismo padre. E io, frate Francesco il più piccolo dei frati,v ostro servo, come posso, confermo a voi, dentro e fuori questa santissima benedizione. Amen.
Abbiamo finito… Leone, ce l’hai sempre la mia benedizione?
 
(estratto dalla prima parte di Il Transito, ultimo atto dello spettacolo Il Giullare di Assisi)
 
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