DANTE E GEMMA

Dante Alighieri è nel suo studio, intento a correggere il manoscritto della Commedia.

DANTE – “Io era tra coloro che son sospesi, e donna mi chiamò, beata e bella, tal che di comandar io le richiesi. Lucevan li occhi suoi più che la stella”. Questo m’venuto proprio bene: “Lucevan li occhi suoi più che la stella”…

GEMMA – Sempre a parlare di donne, eh. Ma nessuna, nessuna delle tue poesie parla di me.

DANTE – Ma che c’entra? Tu sei mia moglie!

GEMMA – E allora? Sembra sconveniente, per i poeti, scrivere della moglie. Chissà perché invece è del tutto naturale scrivere di un’altra donna. Peraltro moglie anche lei. Di un altro, però…

DANTE – Si può sapere di chi parli?

GEMMA – E chi lo sa? Magari di Francesca, o di Pia, o di Costanza, o di Cunizza da Romano. Magari di Matelda o di mia cugina Piccarda, povera dolce creatura infelice… e di qualcun’altra, soprattutto.

DANTE – Guarda che l’ho capito dove vuoi arrivare, eh! Vuoi parlare di Beatrice, vero?

GEMMA – Tu non parli d’altro.

DANTE – Ebbé, ma un conto è in versi, ma così è un’altra cosa. Non voglio che nomini Beatrice.

GEMMA – Io non sono degna nemmeno di pronunciare il suo nome?

DANTE – L’essere degni o non degni non c’entra. E’ morta: non sta bene parlarne. Non ha niente a che fare con te. Cos’hai contro di lei?

GEMMA – Niente, figurati. Io sono felicissima che tutta Firenze parli dell’amore immortale di mio marito per Bice Portinari. Davvero, non potrei desiderare nient’altro dalla vita.

DANTE – Le donne non capiscono queste cose. Il mio amore per… insomma l’amore di cui scrivo è una cosa diversa. Tu sei mia moglie, sei la madre dei miei figli.

GEMMA – Certo, sono la moglie. Che non può mai essere la donna che si ama. Anche nelle storie di Francia no? Qualche volta succede che si arriva a sposare la donna che si ama: però poi la storia finisce subito. L’amata può diventare la moglie, ma la moglie non può diventare l’amata. Che cosa sarebbe successo, se messer Tristano avesse sposato Isotta?

DANTE – Mi sembra di sentire il mio amico Cavalcanti, Gemma. Non sapevo che tu fossi pratica anche delle dispute dei filosofi.

GEMMA – E certo, io per te sono la moglie e nient’altro. E Beatrice…

DANTE – E lei non è mia moglie.

GEMMA – Tu avresti voluto che lo fosse stata?

DANTE – Me la fai una torta di mele, questa sera?

GEMMA – Ma pensi che a me si possano dire solo cose di questo genere? Perché alle mie domande non rispondi mai sul serio? Dimmi, avresti voluto che fosse stata lei tua moglie?

DANTE – Ma no, mai! Ma figurati. E poi non sarebbe stato possibile.

GEMMA – Ma se fosse stato possibile, tu l’avresti presa in moglie?

DANTE – Non lo so! Piantala. Non ci ho pensato mai. Anche perché a pensare una cosa del genere, mi sarebbe sembrato… quasi di sminuirla.

GEMMA – Ma se l’avessi amata davvero, magari anche nel modo in cui Paolo amava Francesca, l’avresti pensato! Fra te e lei non c’è masi stato altro che un saluto vero? Un saluto suo, peraltro… non si capisce nemmeno se tu rispondevi. Oppure questo è quello che scrivi, e nella realtà le cose sono andate diversamente?

DANTE – Basta! Tu continui a parlare di Beatrice come di una donna qualunque, del mio amore per lei come di un amore qualunque. Tu non puoi capire…

GEMMA – Già, non posso capire si sa. Ma vorrei provare a capire, se me lo consenti. Vorrei capire cosa è stata per te. A volte sembra che non sia stata niente, a volte che sia stata tutto.

DANTE – Io non le ho mai sfiorato l’orlo della veste, se è questo che vuoi sapere. Nemmeno con il pensiero! E lei è morta da anni, ormai..

GEMMA – Lei è morta, lo so, ma più passa il tempo e più è viva… e se fosse una donna vivente, anche amata da te, non mi darebbe da pensare. I morti sono più forti dei vivi, contro di loro non si può combattere.

DANTE – Questo è vero. Anzi sono vivi, assai più di noi, e il tempo non avrà più alcun potere su di loro.

GEMMA – Comunque ancora non mi hai detto se l’amavi di amore, se la desideravi, se hai mai sognato di avere da lei qualcosa di più del saluto…

DANTE – Mai. Lei per me era… un annuncio. Una via d’accesso a un’altra realtà, diversa da questa nostra terrena. Era un’elevazione. Amandola senza chiedere nulla e senza volere nulla, io mi innalzavo al di là di me stesso. Al di là di questo mondo di vane parvenze. Lei era un’intenzione di Dio fatta visibile. Lei era la più pura immagine vivente di Dio. Lei era…

GEMMA – …un’ispirazione poetica, un simbolo, un’occasione, una sagoma vuota. In fondo Beatrice non esiste.

DANTE – Esiste, esiste eccome.

GEMMA – “Una cosa venuta – di cielo in terra a miracol mostrare”. Non è vero? Tu non l’hai mai amata come donna.

DANTE – No, come donna no. Ma molto di più.

GEMMA – E io come c’entro in tutto questo?

DANTE – E tu che c’entri?

GEMMA – Eh, e io che c’entro?

DANTE – E tu non c’entri niente. Tu sei mia moglie. Sei la madre dei miei figli.

GEMMA – Ancora?

DANTE – Tu vivi accanto a me. Lei non ti ha tolto nulla, come tu non potevi togliere nulla a lei. Io ho sposato te.

GEMMA – Insomma, io la carne e lei lo spirito.

DANTE – Ecco, sì, qualcosa del genere.

GEMMA – Senti, un’altra cosa: c’è Nella, la moglie di mio cugino Forese, che è molto offesa con te, lo sapevi sì? In quei sonetti orribili, pieni di oscenità che tu e Forese vi scrivete, devi avere detto qualcosa anche di lei… che Forese a letto non vale niente, che sua moglie ha freddo. Non ho capito nemmeno tutto, di quella roba, ma Nella ha tolto il saluto anche a me.

DANTE – Mai dai si fa per scherzare. Voi donne non le capite queste cose. Tu comunque quelle poesie non le dovresti nemmeno leggere. Mi stupisco di te: non sono cose da donne oneste.

GEMMA – Com’è che gli uomini onesti possono scrivere cose che le donne oneste non possono leggere?

DANTE – Uomini e donne sono fatti da Dio in modo diverso, per diversi destini.

GEMMA – Come è possibile che uno stesso poeta scriva di donne e di amore in modi così opposti? Una volta fa come se il corpo non ci fosse, un’altra volte riduce tutto al corpo e nel modo più basso. Dai tuoi versi sembra che in te ci siano due uomini, o forse anche di più.

DANTE – E’ solo un fatto di stile… anche questo le donne non lo capiscono. Perché non studiano la logica e la retorica.

GEMMA – Già, e dimmi una cosa: Beatrice, da viva, capiva tutto della poesia? E la logica, e la retorica, e il resto?

DANTE – Ma non lo so, e nemmeno mi interessa. Adesso stai buonina, su, che devo lavorare.

GEMMA – Scusa, scusa. Me ne vado.

DANTE – Aspetta

GEMMA – Icchescé?

DANTE – Guarda qua.

GEMMA – Che rob’è?

DANTE – La Commedia: canto quinto del Purgatorio. L’ho appena finito.

GEMMA – E allora?

DANTE – Ti leggo il finale in anteprima.

GEMMA – Addirittura? E che ci capisco io, che son solo una donna?

DANTE – Vediamo se questa la capisci.

«Ricorditi di me, che son la Pia: Siena mi fé, disfecemi Maremma: salsi colui che ‘nnanellata pria disposando m’avea con la sua Gemma».

Testo scritto da Arnaldo Casali con la collaborazione di Lilia Sebastiani tratto dall’opera teatrale Mele e serpenti  a cura del Laboratorio Teatrale del Liceo Scientifico “Renato Donatelli di Terni”, interpretato da Arnaldo Casali (Dante Alighieri), Chiara Betti (Gemma Donati) e Daniela De Benedictis (Beatrice). Andato in scena del maggio 1994 al teatro Verdi di Terni e trasmesso da Tele Umbriaviva.

Vincitore del terzo premio al concorso “L’Umbria con Dante” organizzato dalla FUIS.

Presentato, nella versione attuale, da Arnaldo Casali e Chiara Cefalù nell’ambito del Meeting Uil di Terni al bosco di Collerolletta il 26 giugno 2015

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