Caso Cantone, non c’entra il maschilismo

Il 20 luglio 1950 Edith Mingoni in Toussan, una giovane signora che aveva la sola colpa di essersi scoperta le spalle al ristorante, fu ingiuriata pubblicamente da Oscar Luigi Scalfaro, futuro presidente della Repubblica e allora giovane parlamentare, che le ordinò di coprirsi additandola come “poco di buono”.

Lei lo denunciò e divenne subito una celebrità, finendo sui rotocalchi insieme alle glorie del cinema e della radio. “Quell’episodio – dirà – mi ha rovinato la vita”.

Nel 1985 Mario Magnotta, bidello aquilano colpevole di reagire in modo molto buffo alle intemperanze degli alunni della sua scuola (cosa peraltro molto comune nella categoria) fu vittima di una serie di scherzi telefonici. La registrazione di quelle telefonate – piene di imprecazioni, bestemmie e la frase destinata a diventare un tormentone “mi iscrivo ai terroristi!” – iniziò a girare, copia dopo copia, fino a diventare virale ai tempi in cui non esisteva ancora internet. Io stesso ricordo di averle ascoltate in una cassetta nel 1993, sull’autoradio di un amico.

Magnotta divenne una celebrità nazionale, fu invitato in televisione e oltre a subire decine di altri scherzi telefonici, finì a fare serate in discoteca e sagre di paese, pagato per bestemmiare e ripetere le imprecazioni pronunciate in quelle telefonate.

Nel 2015 Tiziana Cantone, trentenne napoletana, si fa filmare mentre tradisce il proprio fidanzato nei luoghi più squallidi. Poi manda i video delle sue performance a sconosciuti, amici virtuali conosciuti su internet. Uno di loro inizia, a sua volta, a farli circolare anche al di fuori della cerchia scelta da Tiziana. In poco tempo i video diventano virali. Quello in cui lei – mentre effettua una fellatio – dice “Stai facendo un video? Bravoh” diventa un vero e proprio tormentone. Tiziana diventa famosa, e persino alcune celebrità le fanno il verso. C’è chi prevede per lei un futuro da pornostar, ma lei non ci sta: tenta di bloccare i video, denuncia, cambia città. Infine si suicida.

Tre casi avvenuti in Italia a distanza di trent’anni l’uno dall’altro, con persone qualsiasi che si sono ritrovate, loro malgrado, a subire una celebrità fatta anche – e soprattutto – di maldicenze, di scherzi, di insulti.

Tre esiti molto diversi. Ma questa è la storia di Tiziana Cantone. Non quella di una vittima del bigottismo, del perbenismo, del maschilismo come la dipingono i commenti sui social, anche di illustri opinionisti come Roberto Saviano (che tra un selfie in cravatta, la pubblicità di Gomorra – la serie e l’auto celebrazione per l’ennesimo premio vinto in giro per il mondo, trova il tempo di pontificare su tutto e su tutti), la blogger (ma che mestiere fa, esattamente?) Selvaggia Lucarelli, divenuta artefice di una vera e propria caccia alle streghe e che in cerca dei commenti più disgusti sulla vicenda da mettere alla gogna – persino se già cancellati –  si è resa a sua volta responsabile di un’azione di cyberbullismo grave almeno quanto quella che voleva denunciare (vedi a questo proposito l’interessante articolo di Sara Cerreto su Minformo.com) o Melissa P, che per non sapere né leggere né scrivere è arrivata senza pudore a paragonare sé stessa e la sua storia a quella della sventurata napoletana.

Tiziana, dicono tutti, è stata vittima di una cultura bigotta, che vuole reprimere la sessualità della donna. Questo perché in tanti hanno insultato (anche post mortem) la povera ragazza a causa delle sue gesta erotiche. Questo, a dire dei moralizzatori, sarebbe il problema.

Ora, quanto agli insulti, sappiamo che ormai sono parte integrante di internet. Chiunque di noi abbia una vita social ne riceve a valanghe. Personalmente, appena poche settimane fa, sono stato riempito di contumelie e apprezzamenti personali solo perché mi sono permesso di criticare l’iniziativa della pasta all’amatriciana solidale con Amatrice.

Il celebre Magnotta, d’altra parte, era stato stalkerizzato tanto e più di Cantone, senza che il sesso avesse giocato la minima parte nella sua disavventura.

Che poi, nei fenomeni virali, l’insulto si mescoli all’idolatria, è un altro dato di cui va tenuto conto: si pensi ai concerti di Richard Benson, dove i fan lanciano insulti e oggetti (persino polli e teste di maiale) al loro beniamino.

Quanto alla sessualità, forse ai Grandi Opinion Leader sopra citati, andrebbero ricordati di casi di Paris Hilton e di Belen, che devono la loro celebrità proprio a video porno messi online loro malgrado.

E che dire di figure come Moana Pozzi e Cicciolina, celebri pornostar divenute beniamine del grande pubblico?

No, non sembra proprio che il nostro sia un paese che odia le ragazze disinibite, le mette alla gogna, e rende la loro vita un inferno.

Sostenere che Tiziana Cantone sia stata vittima di maschilismo e bigottismo, allora, è quanto di più superficiale e ipocrita si possa dire per commentare questa tragedia.

La verità è che Tiziana Cantone è rimasta schiacciata da una celebrità non voluta, o meglio ancora non prevista, non calcolata. Perché se Edith Mingoni e Mario Magnotta sono state vittime totalmente inermi di un fenomeno virale, Tiziana è stata essa stessa artefice di un gioco perverso che le è poi sfuggito di mano.

Se fosse stata minorenne, o comunque molto giovane, si sarebbero potuti fare mille discorsi sociologici sull’uso inconsapevole e irresponsabile che gli adolescenti fanno di internet e del proprio corpo, avremmo potuto dire che Tiziana è stata vittima di un sistema malato su cui occorre intervenire. Ma la verità è che Tiziana Cantone non era una ragazzina: aveva trent’anni e si presume che a quell’età, un minimo di consapevolezza di quello che fai e di quello che sei, tu l’abbia maturata.

Tiziana Cantone è stata una vittima, sì. Come ogni persona che si toglie la vita. Come ogni persona che non ha piena coscienza di sé e delle proprie azioni. Come ogni persona che non sopporta il peso dell’immagine che di sé stessa ha elaborato il mondo. Vittima come Marilyn. Vittima di sé stessa, vittima di una celebrità che non aveva previsto e che non ha saputo e voluto gestire. E forse, sì, anche di un mondo – quello dei social – che giudica senza capire, che commenta senza leggere, esterna senza interiorizzare, che pontifica senza attraversare. Che vuole moralizzare senza avere un’etica.

Sostenere che Tiziana Cantone sia stata vittima di maschilismo e bigottismo, allora, è quanto di più superficiale e ipocrita si possa dire per commentare questa tragedia.

La verità è che Tiziana Cantone è rimasta schiacciata da una celebrità non voluta, o meglio ancora non prevista, non calcolata. Perché se Edith Mingoni e Mario Magnotta sono state vittime totalmente inermi di un fenomeno virale, Tiziana è stata essa stessa artefice di un gioco perverso che le è poi sfuggito di mano.

Se fosse stata minorenne, o comunque molto giovane, si sarebbero potuti fare mille discorsi sociologici sull’uso inconsapevole e irresponsabile che gli adolescenti fanno di internet e del proprio corpo, avremmo potuto dire che Tiziana è stata vittima di un sistema malato su cui occorre intervenire. Ma la verità è che Tiziana Cantone non era una ragazzina: aveva trent’anni e si presume che a quell’età, un minimo di consapevolezza di quello che fai e di quello che sei, tu l’abbia maturata.

Tiziana Cantone è stata una vittima, sì. Come ogni persona che si toglie la vita. Come ogni persona che non ha piena coscienza di sé e delle proprie azioni. Come ogni persona che non sopporta il peso dell’immagine che di sé stessa ha il mondo. Vittima come Marilyn. Vittima di sé stessa, vittima di una celebrità che non aveva previsto e che non ha saputo e voluto gestire.

 

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