2021

Per la gran parte dei miei simili, l’anno 2020 è stato “l’anno di merda” per antonomasia, mentre il 2021 ha rappresentato l’anno del grande riscatto.

Il 2020 è l’anno della pandemia, il 2021 quello delle grandi vittorie italiane, a cominciare dall’Eurovision e gli Europei.

Per me, che sono inguaribilmente anticonformista, è stato esattamente il contrario. Beh, non proprio esattamente; perché il 2021 non è stato affatto un anno da insultare, anzi.  Al di la del fatto che io sono contrario a qualsiasi genere di insulto e penso sempre che se insulti qualcuno e poi quello reagisce poi non ti devi lamentare.

Comunque il 2021 è stato un anno intenso e bellissimo, ma senza dubbio molto più sofferto, faticoso, doloroso del 2020. E comunque le grandi soddisfazioni che mi ha dato non sono state certo gli Europei o l’Eurofestival, quantunque confesso di aver sofferto e gioito anche io con la Nazionale, anche se per il resto continuo ad odiare il calcio con tutto me stesso.

Di sicuro è stato un anno di transizione, di grandissimi cambiamenti, che – come tutti i cambiamenti – hanno portato ansia ma anche freschezza e nuove sfide.

Insomma è stato un anno solo ma sembrano davvero almeno cinque. E a rileggere l’agenda – quest’anno regalo di Costanza – i ricordi di appena un anno fa sembrano lontanissimi.

I bilanci si fanno a fine anno, sotto Natale. Ma io arrivo sempre in ritardo, e l’anno che finisce mi è capitato spesso di raccontarlo a febbraio inoltrato. Quest’anno, però, credo davvero di aver battuto qualsiasi record e il 2021 lo racconto con quattro mesi di ritardo, quando sta per chiudersi già il terzo mese del 2022. E di cose da raccontare ce ne sarebbero già fin troppe, di questi tre mesi e mezzo.

Questo la dice lunga, in realtà, su quanto sia stato intenso questo 2021, un anno che non mi ha dato tregua, come non me l’hanno data i primi tre mesi dell’anno che è seguito.

Perché sì, il 2021 è stato decisamente un anno intenso: dall’inizio alla fine non mi ha lasciato libero una settimana: è stato un tour de force cominciato ben prima del primo gennaio e che si è concluso ben dopo il 31 dicembre.

E’ stato l’anno delle due edizioni del Terni Film Festival – una a maggio e l’altra a novembre – l’anno dell’elezione a direttore dell’Istess, un anno di transizione e rinnovamento su tutti i fronti, un anno sanitario di visite, esami, analisi ma anche di tanta ansia soprattutto per mia madre. E’ stato l’anno romano per eccellenza, il primo vissuto più a Trastevere che a Cardeto, l’anno in cui ho finito il romanzo a cui lavoravo da sette anni: un anno di grandi delusioni e grandi entusiasmi, un anno di immane stress e sofferenza, di rapporti che si sono rotti o chiusi ed altri che sono fioriti. E’ stato l’anno di amicizie finite e di alleanze strette.

E’ stato l’anno di Twin Peaks (con Beata ci siamo riviste tutte le serie vecchie e abbiamo visto la nuova) e soprattutto di House of Cards, che mi ha davvero aperto un mondo. Forse proprio perché mi ha fatto capire il valore del concetto di “alleanza”.

Oggi tutti i legami li viviamo in modo sentimentale. Spesso persino i rapporti professionali: se c’è una cosa che mi disgusta è vedere i conduttori televisivi dire agli ospiti “ti voglio bene”.

L’alleanza è un legame basato su un impegno, e non su un sentimento. L’amicizia dovrebbe essere basata su un’alleanza – un patto di mutuo soccorso – non su un sentimento che ti porta a far solo ciò che “ti senti” di fare in quel momento. Per non parlare del matrimonio.

Peraltro, con 1992 visto nel 2020 e Young Pope nel 2022 devo dire che House of Cards compone una “trilogia della politica” particolarmente interessante e significativa. Perché il serial di Kevin Spacey racconta l’America proprio come quello con Stefano Accorsi racconta l’Italia e quello di Sorrentino racconta il Vaticano. Tre storie di potere che attraverso la fiction raccontano perfettamente la realtà.

E’ stato l’anno di Valerio Lundini, scoperto sotto Natale, adorato con le due stagioni della Pezza e che poi ho visto e incontrato per ben due volte – a Roma al concerto dei Vazzanicchi, e a Terni all’anfiteatro, con un’intervista pubblicata su TerniToday che credo sia una delle più belle che abbia mai fatto in 22 anni di giornalismo.

(da notare come Lundini dopo avermi visto dieci minuti in mascherina a luglio, mi ha riconosciuto a fine agosto appena mi ha visto, mentre Paolo Ruffini – del quale ho organizzato uno spettacolo a Terni appena tre anni fa, dopo un’intera giornata passata insieme non mi ha riconosciuto nemmeno quando gli ho detto chi ero quando – sempre in questo 2021 – ci siamo incontrati al festival di Todi)

Sotto il profilo letterario, con La condanna del sangue e Il posto di ognuno di De Giovanni ho pagato il tributo a Riccardi ma solo perché diretto da D’Alatri, e che si è confermato comunque uno dei pochissimi prodotti televisivi che vale la pena di vedere, anche se dicendolo in pubblico davanti al regista ho creato un bel casino. D’altra parte è stato un anno in cui di guai ne ho combinati diversi. E’ stato un anno di guerra: guerre che io non ho dichiarato e non ho voluto, ma che mi hanno visto costretto a difendermi.

E’ stato l’anno della nascita della Umbria Film Commission, e della rinnovata alleanza con i festival di cinema dell’Umbria, l’anno in cui sono riuscito finalmente a convincerli a dotarci di un logo (realizzato da noi) e di un premio comune, assegnato a dicembre a Francesco Montanari.

E’ stato un anno di grandi cambiamenti: al Jp2 cambio di logo e cambio di preside, all’Istess cambio di direttore e di struttura organizzativa, al festival cambio di direttore artistico e di staff organizzativo e a Terni cambio di Vescovo.

L’anno della dieta, un anno a piedi e in monopattino – pochissimo in macchina, tantissimo in treno – un anno vissuto tra due città e pochissimo in viaggio. Un anno di gloria e di paura, di ansie e di progetti.

E’ stato il secondo anno di Covid, l’anno del tampone il giorno di Natale, un anno davvero sulle montagne russe e che per questo mi ha lasciato stremato. O almeno, parzialmente stremato.

Come il 2020 è stato un anno che non ha fatto mancare novità. Pochi viaggi, ovviamente (tre in Polonia e uno in Francia) ancora meno che nel 2020, ma tante tante novità.

Ho iniziato davvero a fare l’addetto stampa, ho scritto su testate come L’Osservatore Romano, Avvenire, Il Riformista e Medioevo, ho organizzato, diretto, amministrato, supervisionato ben cinque festival, ho anche condiviso le iniziative organizzate da Beata come il mastodontico Iter Europeum ma ho anche vissuto litigate furibonde, mi sono incazzato in modo violentissimo, ho collezionato più sfuriate che biglietti del treno.

Sono tornato a confessarmi dopo due anni (la pandemia si è portata via i miei ultimi due confessori) e la mia fedeltà  – non fisica ma anche mentale, esistenziale, affettiva – ha raggiunto livelli mai conosciuti prima (questo mi preoccupa un po’ perché significa che sono totalmente innamorato di mia moglie, e quindi dipendente da lei, e ho quindi ufficialmente tradito la promessa che feci quando la prima fidanzata mi lasciò, e cioè che non avrei mai più messo la mia felicità nelle mani di un’altra persona).

E’ stato un anno sanitario. Niente di grave, grazie a Dio non posso davvero lamentarmi: il Covid non l’ho preso, ricoveri non ce ne sono stati, ma sicuramente non sono mai stato così tanto dal medico: tra denti del giudizio, rimozioni di nei, ago aspirato, ecografie, polisonnografie, visite cardiologiche, analisi, penso che sia stato l’anno che mi ha visto più tempo dentro un ambulatorio. Con diagnosi non gravi, ma allarmanti sì. E’ l’anno in cui ho dovuto prendere sul serio i miei problemi di peso, il punto di non ritorno verso malattie gravi. Non ho ancora risolto i miei problemi, mi trovo – di fatto – ancora di fronte al bivio, però posso dire almeno che è stato l’anno in cui ho arrestato il mio progressivo ingrassamento e sono persino, almeno un po’, dimagrito.

La maschera ad ossigeno non l’ho dovuta mettere per il Covid ma mi è stata prescritta per le apnee. E mi sono dovuto arrendere a prendere seriamente in considerazione una dieta vera.

Ho calcolato che, di fatto, da quando ho smesso di svilupparmi in altezza – a 16 anni – ho iniziato a svilupparmi in larghezza. In trent’anni sono aumentato mediamente un chilo all’anno, passando dal peso forma di 75 chili nel 1991 al massimo storico di 99 nel 2019. Poi, negli ultimi quindici anni, sono ingrassato e dimagrito a fisarmonica, attestandomi negli ultimi anni intorno ai 96. Beh, nel corso del 2021 sono sceso – in modo più o meno stabile – a 90. Niente non è.

Ben peggio è andata a mia madre: negli ultimi anni ha avuto mediamente una problema grave di salute ogni due anni. E nel 2021, proprio alla vigilia del Terni Film Festival, ha avuto uno scompenso cardiaco che l’ha costretta a restare – completamente sola – in ospedale per quindici giorni, e tornata a casa di fatto non ha più camminato. E’ stata la prima volta che i miei non hanno partecipato fisicamente al festival. Ma davvero non mi lamento. E’ tornata, e ha ricominciato subito a fare riabilitazione. Il 2021 ci ha graziato.

Ma il 2021 resterà soprattutto l’anno dell’elezione a direttore dell’Istess. Un’elezione avvenuta proprio a metà – il 17 giugno – e che ha cambiato completamente la mia vita.

E’ stata la sfida più importante che abbia mai affrontato: un passaggio esistenziale ad una nuova maturità, ma anche la possibilità di dare finalmente corpo a tantissime idee maturate nel corso degli ultimi dieci anni. Mi ha consentito di creare un “dream team” con persone con cui sognavo di lavorare da anni, e al tempo stesso di valorizzare quelle con cui lavoravo già. Ma come tutte le cose più importanti e che più riempiono la mia vita, non ho voglia di parlarne, perché preferisco viverle.

Certo ho sperimentato che cosa significa davvero fare il capitano in una nave.

Al lavoro è stato un anno sulle montagne russe: tra la fine di gennaio a metà febbraio ho involontariamente causato un incidente diplomatico che mi ha portato a finire sputtanato su molti giornali, soprattutto americani. Sono finito di fatto al centro di una guerra che si stava combattendo su sette livelli diversi, che andavano da Trump e Putin al nuovo governo italiano, fino a gente che – per motivi squisitamente personali – aveva deciso di farmi perdere il lavoro. Me la sono vista davvero brutta, ma una cosa l’ho imparata: stare al centro della scena, avere il tuo nome scritto su giornali internazionali, no, a volte non è affatto una cosa buona. In certi ambienti l’anonimato è assai meglio della celebrità e il “purché se ne parli” è non vale per niente.

Sono arrivato addirittura a dover cancellare buona parte dei miei tweet e dei miei post sul blog e a cambiarmi il nome su facebook per non essere trovato. Per la prima volta ho avuto bisogno di sparire e credo che questa cosa, pur dolorosissima, mi abbia insegnato tanto e mi abbia fatto crescere come uomo e come professionista.

E’ stato il secondo anno di pandemia: vissuta in modo senza dubbio molto diverso. L’anno delle tre dosi di vaccino, tutte fatte in Vaticano.

Un anno cominciato con Auld Lang Syne e tante letture natalizie. Sì, forse è stato proprio sotto Natale che ho conosciuto gli ultimi momenti di vero relax.

Quell’amico, di cui tanto ho parlato nei post degli anni precedenti, proprio lui era tornato – finalmente – all’inizio del 2020. Ecco il 2021 l’ho condiviso in massima parte con lui: ci siamo ritrovati vicini di casa, stavamo a cena insieme tutti i fine settimana, abbiamo condiviso tantissimo, direi tutto. Quando però l’ho nominato mio successore al Terni Film Festival le cose hanno iniziato a guastarsi: non so se è stato più il delirio di onnipotenza, lo stress o i suoi problemi personali a uccidere la nostra amicizia, so che da quel momento il rapporto è sempre più degenerato e alla fine dell’anno l’ho perso di nuovo. Questa volta credo per sempre. E forse è meglio così.

A inizio gennaio ho fatto anche il corso antiincendio e quello sulla sicurezza al lavoro. Riguardo a San Valentino, è stato senza dubbio un anno in tono minore: è stato uno dei pochi anni in cui non ho fatto quasi nulla, ma quel poco è stato comunque molto importante. Un articolo pubblicato sul Riformista, ha creato un vero e proprio caso, che poi mi ha visto nuovamente protagonista con un intervento pubblicato a mia firma. Per il resto, l’abortito Percorso di San Valentino del Comune – e dopo il siluramento di Andrea Giuli (per un curioso caso del destino, proprio negli stessi giorni della mia elezione a direttore dell’Istess) il deludente Cammino di San Valentino. E poi – il 13 marzo – la chiusura, dopo più di cinque anni, di Valentino 2, in una data fatidica (1993 festa di diciotto anni, 2013 elezione di papa Francesco, 2020 pandemia, 2022 chiusura Valentine Fest). Una grande soddisfazione ma anche una grande delusione, per l’atteggiamento ambiguo con cui è stato accolto dal mio editore con cui – fino a quel momento – avevamo vissuto un rapporto idilliaco e una marcia trionfale. L’anno in cui ho pubblicato solo un libro, e sostanzialmente irrilevante, è forse anche l’anno in cui ho rinunciato a fare lo scrittore. D’altra parte, proprio osservando il caso De Giovanni, mi ero dato tempo fino ai 47 anni.

E’ stato anche l’anno della scoperta di un “nuovo” san Valentino a Castel di Lago. E’ stato anche il primo anno in cui ho seguito tutto il festival di Sanremo dopo qualcosa come 25 anni. E poi l’incontro dei festival italiani a Giffoni, che è stato una delle esperienze più esaltanti che ho vissuto.

E’ stato l’anno dei film seduti sui cartoni in piazza San Cosimato, l’anno delle scoperte dei ristoranti a Trastevere e del cinema al Sacher, il Troisi, Intrastevere, Adriano.

L’anno della finale degli europei vista in Polonia, della più lunga lontananza da Vacone dal 2017. E’ stato l’anno in cui mi sono appassionato – fino a studiarlo per un mese – del Caso Tortora, forse perché mi ha fatto capire non solo come in Italia la magistratura sia un potere impunito, ma anche e soprattutto che in Italia non conta se sei innocente o colpevole ma se sei simpatico o antipatico o meglio ancora se sei amico o nemico. Perché se il pregiudizio guidava i nemici di Tortora, guidava anche gli amici.

E’ stato l’anno di lunghissime camminate per Roma (come la storica notturna Eur-Trastevere per vedere School of Mafia) e nel viaggio-lampo a Napoli per vedere lo spin-off di Riccardi firmato D’Alatri, del ritorno in Polonia per la Grande Festa di Famiglia, dell’ultimo trasloco di Beata verso l’Italia. L’anno dei bucatini di regime e dei rigatoni democratici.

E’ stato l’anno del mio quinto incontro con papa Francesco (a due anni dall’ultimo), dei due film sulla famiglia Scarpetta-De Filippo.

E’ stato l’anno del “Giullare di Assisi” definitivo con Francesco Salvi, Marialuna Cipolla e Riccardo Leonelli, che a undici anni dal debutto ha messo insieme tutti gli artisti più importanti per me, ma anche l’anno di “Dante poeta arrogante”, un testo scritto in tre tempi, la cui origine risale addirittura al 1994, con un soggetto scritto per uno spettacolo fatto al liceo, e che è diventato un corto bellissimo che – pure – mi è costato immane sofferenza e l’amicizia di persone importanti. E che comunque continuo a considerare un gioiellino di cui vado molto fiero e che mi ha permesso di riavvicinarmi alla figura di Dante nell’anno del centenario.

E’ stato l’anno del ritorno al festival di Breslavia dopo tre anni e che ha segnato la mia terza volta in Polonia nell’anno, l’anno di Bruschetta e del pane bruscato, del nuovo – e poco entusiasmante, a dire la verità – disco dei Coldplay, l’anno del passaggio come tarzan nella giungla da una liana all’altra, senza mai toccare terra per dodici mesi. E poi l’anno del ritorno – finalmente – a “La Salette” e delle tre grandi notizie nello stesso giorno, il 30 ottobre: le analisi del sangue disastrose, la Medaglia del Presidente della Repubblica, e la nomina del nuovo vescovo di Terni dopo un falso allarme. E il doppio messaggio a Francesco Salvi: “Il nuovo vescovo di Terni si chiama Salvi”. “No, rettifico: il nuovo vescovo di Terni si chiama Francesco!”.

E’ stato un anno di grandi film (da Ghostbusters III a Diabolik, la La scuola cattolica a E’ stata la mano di Dio fino a Freaks Out e West Side Story), di grande fatica, di grande responsabilità. Di grandi entusiasmi e di grandi delusioni. L’anno dei tre numeri di “Adesso” dopo otto anni in cui ne usciva uno solo. Di rapporti fragili, rotti e riparati, distrutti e ricostruiti, come il mio entusiasmo.

Un anno concluso, come il precedente, a casa, ma questa volta con la mia famiglia.

E non è poco.

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