15 febbraio 198

Silvia ritrasse la mano allontanandola di scatto da quella di Valentino.

Lui la guardò negli occhi. In quegli occhi neri come pozzi profondi. Pozzi a cui attingere per non morire di sete, pozzi dove trovare ristoro nelle giornate aride. Pozzi in cui precipitare, pozzi in cui affogare inesorabilmente senza niente a cui aggrapparsi per tirarsene fuori. Senza speranza di uscirne vivi.

Lei aveva quello sguardo dolce da bambina che l’aveva fatto innamorare tanti anni prima. Ma al tempo stesso quello sguardo adesso appariva inquieto, sulla difensiva.

Guardarti negli occhi è pericoloso come fissare un gatto” disse lui ridendo.

Se sai che mi dà fastidio perché lo fai?”

Lui le prese di nuovo la mano. Lei la ritirò ancora.

Che c’è?” fece con dolcezza. Silvia scosse la testa, senza parlare.

Ti dà fastidio che ti tocco?”.

Non ce n’è bisogno”

Di cosa non c’è bisogno? Che ti tocchi?”

Sì, non ne sento il bisogno”.

Valentino si fermò, con la mano sospesa a mezz’aria. Indecisa se tentare di nuovo l’approccio o lasciar perdere.

Se ti accarezzo ti dà fastidio?”.

Silvia restò in silenzio.

Le prese di nuovo la mano. Questa volta lei non la ritrasse. Gliela strinse forte. Le accarezzò il dorso, poi la girò ed esplorò il palmo; la strinse di nuovo, in cerca di un micro abbraccio. Per un momento sentì le dita di lei stringersi sulle sue. Allora le mise l’altra mano tra i capelli corvini, e le accarezzò la testa.

Lei non reagiva. Restava fredda come pietra. Ma tremava. Tremava tutta come la prima volta che si erano baciati. Quella sera di novembre tremavano tutti e due, e non faceva freddo per niente. E neanche adesso faceva freddo. Eppure lei tremava.

Continuò ad accarezzarla, fendendo i suoi capelli con le dita, poi scese fino all’orecchio. Lei se ne stava in silenzio, voltata. La baciò sulla nuca. Poi la abbracciò. Le baciò ancora la testa, continuando a stringerla forte. Azzardò un bacio sulla fronte; cercò di scendere, raggiungendo gli occhi chiusi, poi le labbra. “Mi stai soffocando” disse lei. “Fammi respirare”.

Valentino lasciò immediatamente la presa, si allontanò e si voltò; prese a fissare il vuoto.

Sì, bravo… ora fai l’offeso…” mormorò lei.

Mi spieghi che cosa ti sta succedendo? Tu sai quanto ti amo. Perché ti comporti così?”.

Ma che cosa vuoi?”

Voglio sapere se mi ami o no”.

Silenzio.

Tentò di nuovo di raggiungere la sua mano, ma lei la scostò.

Ti dà fastidio quando ti tocco? Ti dò fastidio se ti tocco? Rispondimi”.

Stai sicuro che se mi ritraggo, certo non mi fa piacere”.

Non ti fa piacere ritrarti, o non ti fa piacere se ti accarezzo?”.

Seguì un altro lungo silenzio assordante.

Non ti voglio – sentenziò lei infine – E’ questo che vuoi sapere, no? Non ti voglio”.

E’ per la mia fede. Vero?”

Lei non rispose.

E’ la religione che ti allontana da me? Devo saperlo”.

Lo sai già”.

Ma come è possibile? Come puoi smettere di amarmi solo perché sono diventato cristiano?”.

Ne abbiamo già parlato, Valentino, e non intendo ricominciare con gli stessi discorsi. Finiamo a parlare sempre dello stesso argomento e io non ne posso più”

Evidentemente non ne abbiamo parlato abbastanza”

Invece sì. Tu mi chiedi se la religione ti allontana da me? Falla a te stesso e al tuo Dio, questa domanda. Se basta una volgare superstizione arrivata da un popolo di caprari per allontanarti da me… allora davvero, davvero è un grande amore il tuo…”

Ma che cosa vuoi da me? – gridò lui prendendola per le spalle – Che rinneghi Cristo? E cosa pensi che cambierebbe? Pensi che se rinnegassi la mia fede di fronte a te, di fronte a tuo padre, di fronte a Cesare, cambierebbe qualcosa nel mio cuore? Sarei solo un ipocrita!”

Non ti azzardare ad alzare la voce! E non toccarmi!”

E nel tuo, di cuore? Che cosa è cambiato, Silvia Claudia, nel tuo cuore?”

Ti ho detto di non alzare la voce e di non toccarmi!” urlò lei liberandosi dalla presa. Poi gridando come una pazza in preda a una crisi isterica, gli affondò le unghie sulla faccia: “Che tu sia maledetto! Maledetto tu e il tuo dio crocifisso!”

Valentino si liberò dalla mano che gli artigliava il viso e allungò uno schiaffo sulla faccia della moglie. “Vattene! – gridò, con il sangue che gli rigava il viso – non voglio vederti mai più!”.

Lei si alzò e si precipitò fuori: “Quando mio padre saprà che mi hai messo le mani addosso – fece con gli occhi iniettati d’odio – sarà meglio che tu non ti faccia trovare troppo vicino”.

Valentino la vide allontanarsi correndo tra le lacrime. “Mi fai pena! – le gridò contro – mi fai solo tanta pena! Sei una poveraccia che non sa cosa significhi amare! Tu non ami né me, né tuo padre, né tantomeno la tua religione! Non sei capace di amare nemmeno te stessa!”.

In un attimo scomparve alla sua vista.

Avrebbe voluto correrle dietro. Dirle che la amava follemente e che l’avrebbe amata per sempre, incondizionatamente. Che era una creatura meravigliosa e la cosa più preziosa della sua vita.

Ma la conosceva. Sapeva che non sarebbe servito a nulla, adesso. Avrebbe gridato sempre più forte e fatto la matta. Bisognava solo aspettare che si calmasse. Aveva un carattere difficile. Aveva i suoi tempi, per sbollire la rabbia. Non poteva fare niente, lui, adesso. Poteva solo aspettare.

Ma avrebbe voluto correrle dietro, Valentino: inseguirla fino in capo al mondo, agguantarla, abbracciarla forte e dirle che era una creatura mervigliosa, la cosa più preziosa della sua vita e che l’avrebbe amata per sempre.

Avrebbe voluto correrle dietro. E l’avrebbe fatto, se avesse saputo – se solo avesse sospettato – se avesse anche solo temuto, che quella era l’ultima volta che la vedeva: se avesse saputo che non l’avrebbe vista mai più.

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