15 agosto 2015

Di solito iniziano così i film horror” dice Strinati mentre esco dallo stretto cerchio di luce e vengo inghiottito dalle tenebre.

Era iniziato in modo abbastanza sfigato, questo indeciso e uggioso Ferragosto.

Per quattro giorni l’apposita conversazione creata sul libro delle facce aveva sfornato proposte per i 12 iscritti senza che una sola di esse riuscisse a raccogliere il consenso di più di due partecipanti: si spaziava dal mare alla piscina a San Gemini, dalla sagra del vino a Vignanello alla sbraciolata a Sant’Erasmo fino alla notturna alcolica in luogo da stabilire.

BioKiara distribuiva emoticon con mostriciattoli giapponesi festanti e coccolosi – alternandoli a citazioni da Lorenzo de’ Medici, Valentino Manlio rivendicava a gran forza una giornata al mare, Chiara Tofone invitava tutti a raggiungere lei e Lorenzo all’Argentario. Quanto a me, sottolineavo che l’Argentario, a dispetto del nome, è azzurro così come – d’altra parte – la Costa Smeralda ed Eleanor, sentendo già odore di sòla, annunciava che se entro il giorno successivo non si fosse deciso nulla si sarebbe andata a sbronzare al Parco pubblico.

Olivia aveva già diretto le sue mire verso la Notte Bianca di Amelia, Bordera annunciava una notte bianca anche a Lugnano in Teverina, dove – peraltro – avrebbe suonato l’eminente pianista Grigioni mentre Paffu ipotizzava un originale ferragosto sul suo campo a Calvi dell’Umbria a slupare olivi sotto il sole.

L’ossessione di dover fare a tutti i costi qualcosa di straordinariamente divertente per l’Assunta aveva indotto Martina a verificare voli, traghetti, disponibilità di campeggi, bed & breakfast, rifugi montani e hotel sin dal viaggio di ritorno dalla Sardegna. E se allora l’ipotesi Ventotene era andata per la maggiore, negli ultimi giorni aveva preso corpo un fine settimana in un rifugio sul Gran Sasso.

Giunti al 15 mattina, però, la chat continuava ancora a sfornare le proposte più disparate. Proposte che io assecondavo ormai in toto, e fondamentalmente soddisfatto dell’idea che fossero ineluttabilmente destinate al fallimento. Già da qualche giorno mi ero infatti trasferito nel mio buen retiro vaconese senza alcuna seria intenzione di abbandonarlo. Sì, bello il mare, bella la montagna, ma la Sabina non si batte e la mia idea di vacanza è da sempre starmene spaparanzato sulla mia sdraia di fronte alla porta della casa che fu del mio bisnonno, a leggere Sherlock Holmes.

Così, mentre BioKiara tentava in extremis di dirottare la giornata ai Prati di Stroncone, feudo estivo del di lei fidanzato ed Eleanor e Riccardo si sfilavano annunciando una sortita a Villarosa, io annunciavo solennemente la mia permanenza nelle modeste proprietà sabine di famiglia, suscitando istantaneamente un autoinvito di Martina e Paffu che proponevano incautamente una notturna nel bosco del Pago per poi dormire tutti insieme a casa mia.

Ajo do’ stai? Prrrrrrr Noi siamo arrivati siamo al bzzzzzzzz”.

Era la seconda volta che mi chiamava, Strinati. Visto che a metà pomeriggio il Ferragosto non aveva ancora preso un verso, avevo deciso di approfittare di un momento di clemenza meteorologico per incamminarmi sul sentiero verso le rovine del Monastero.

Da quando ero arrivato a Vacone avevo già provato tre volte quel maledetto sentiero, sperimentando sulla mia pelle la Legge di Murphy: la prima volta ero partito alle 16.30 e alle 16.45 si era scatenato il diluvio. Il giorno dopo avevo deciso di anticipare la partenza alle 15, e alle 14.45 aveva iniziato a tuonare. Zia Clara e zio Franco mi avevano suggerito di partire la mattina, ché il pomeriggio – come già ampiamente dimostrato – in quei giorni pioveva sempre. Così il giorno dopo avevo pianificato la partenza per le 12, e alle 11.45, puntualmente, aveva iniziato a piovere.

Visto che il giorno di Ferragosto sembrava già aver saturato la sete di piogge con la storica tempesta della mattinata e alle 16 aveva iniziato a rasserenare, persuaso che il signor Giove Pluvio avesse già offerto il meglio di sé avevo optato per una partenza tardiva ma determinata alle 18. E alle 18.30 erano iniziate le telefonate con cui mi si annunciava l’arrivo dell’Allegra Comitiva richiedendo con urgenza la mia presenza nel bosco del Pago, dove erano già in corso le operazioni di sbraciolaggio.

Ajo – brzzzzzzzzzzzzz – se non te movi non te c’armane gnente – prrrrrr”

In un primo tempo avevo cercato di approfittare della carenza di linea – e conseguente difficoltà di comunicazioni telefoniche – per proseguire indifferente la mia passeggiata, ma dopo la terza telefonata ero stato costretto a rinunciare per l’ennesima volta al raggiungimento dell’agognata meta e a rassegnarmi a una deviazione verso la selva cara alla Dea Vacuna.

Al bosco sacro del Monte Cosce si accede attraverso un lungo sentiero alberato, una selva oscura che dopo una decina di minuti di cammino si apre sulla vista della piccola chiesetta dedicata a San Michele, collocata al centro di un grande prato immerso nel bosco. Alla chiesetta è attaccato un piccolo edificio, un tempo la casa del custode, diventata oggi una struttura attrezzata per accogliere vacanze di branco dei Lupetti o campeggi parrocchiali. Proprio quest’anno, poi, il Comune ha collocato ovunque tavolini in legno e camini per barbecue.

Arrivo che sta già facendo buio ma riconosco subito, parcheggiata sulla sinistra, la Panda con siluro di Paffu e le voci dei miei amici che provengono dalla stessa direzione da cui arriva il fumo e l’odore di arrosto, proprio al di là del grande elce che per secoli aveva troneggiato sul bosco. Era l’unico albero su cui ricordo di essermi arrampicato da bambino, e lo stesso su cui – prima di me – si erano arrampicati mio padre, mio nonno e il mio bisnonno. Una ventina di anni fa un fulmine lo ha distrutto, ma da qualche anno sul tronco monco è spuntata una piantina, che già si sta preparando a diventare un giovane alberello.

Paffu, a dorso nudo, è alla griglia alle prese con salsicce di maiale, salsicce di pollo, arrosticini e braciole, Bordera è al tavolo che strimpella la chitarra, Martina mi viene incontro e mi abbraccia.

Ma Sciama e Strinati dove stanno?” faccio.

Strinati si è allontanato un attimo, Sciama deve ancora arrivare. La vuoi un po’ di bruschetta?”.

Ma questo lampione qui sopra, si accende, adesso che fa buio?” mi chiede Paffu mentre col pane bruscato alleno la mascella per l’imminente pasto.

Lo spero” rispondo. Ma ne sono tutt’altro che certo.

Le salsicce sono quasi pronte – dice Martina – se vuoi fare aperitivo là c’è vino, patatine e olive!”.

Riguardo al lampione ero stato ottimista: alle nove e mezza il Pago – ormai deserto – è sprofondato nel buio completo: l’unica fonte di illuminazione è la lampada a led di Strinati che proietta un cono di luce sul nostro tavolinetto. Sciama è arrivato a cena praticamente finita, ma con due bottiglie di bianco che ci siamo scolati in aggiunta al Rosso di Montefalco e al Chianti in fiaschetta di vimini.

Ma che cosa sono questi spari?” chiede Sciama. “Cacciatori – rispondo – qui è pieno di cinghiali”. “E a quest’ora vanno a caccia?”, “la caccia al cinghiale si fa di notte, ché di giorno i cinghiali si riposano, non ci vanno mica in giro”. “E per fortuna – aggiungo – che incontrare un cinghiale mentre fai una scampagnata non deve essere molto piacevole. E ancora meno essere scambiati per un cinghiale da un cacciatore”.

Se ti sparano con un proiettile da cinghiale non la racconti” spiega Paffu. Che oltre ad essere tartufaro, cercatore di funghi, coltivatore di olivi e pescatore alla mosca all’occorrenza diventa anche un cacciatore di selvaggina. “Mica è il fucile a pallini di piombo, che ti brucia il culo e basta. Quello ti fa esplodere le budella”.

Ma non sarà pericoloso, allora, stare qui a quest’ora?” chiede Martina.

Certo, se non si è fermato nessun altro, un motivo deve esserci” dice sarcastico Strinati. Sciama bestemmia: “Ajo, ma do’ c’hai portato?”. “Ma dai – cerco di rassicurare – ma che arrivano qui, seondo voi? Non sentite che sono spari lontani?”.

Ciava è tornata da Milano” fa Martina, slittando il ditino sullo schermo del cellulare. Poi, dopo pochi secondi aggiunge: “Ha postato una foto del JazzIt fest… Ilaria si è fatta i capelli, finalmente”. Dopo un minuto: “Il mondo ricorda l’anniversario della morte di Elvis Presley”.

Oddio ricominciamo con la rassegna stampa delle notizie di cui non ce ne frega un cazzo?” esclamo, cercando di sfilarle il cellulare dalle mani.

Dài lo metto via. Facciamo qualcosa, però!”

Dario parte con le barzellette: “A Napoli uno sale sull’autobus…. arriva il controllore:

Biglietto prego. Ma….questo è di ieri!”, “Ah… e lei oggi arriva?”.

Martina se ne esce con: “Un daino dice a un altro daino: – giochiamo a nascondaino? – e l’altro – dai, no”.

Mi alzo dalla panca di legno completamente ubriaco. “Do’ vai?” mi fa Bordera.

Vado a fare una passeggiata” rispondo allontanandomi.

Di solito iniziano così i film horror” dice Strinati mentre esco dallo stretto cerchio di luce e vengo inghiottito dalle tenebre.

Sì, adesso mi succede come su Blair Witch Project” rido.

Siamo a meno di dieci metri di distanza, ma io posso vedere benissimo i miei amici mentre per loro sono ormai completamente invisibile. L’occasione è propizia per uno scherzo: mi allontano ancora un po’, arrivando fino quasi alla chiesa e li spio da lontano. Poi lancio un grido disumano e terrificante, senza sortire effetto alcuno. Sento solo le loro voci, il lontananza, che mi danno del coglione. Torno indietro e mi sdraio su uno dei tavolinetti di legno. Sono completamente ubriaco e crollo dal sonno. Sdraiato sul lato sinistro, osservo i miei amici che cazzeggiano sull’altro tavolino. Bordera suona Ultimo amore di Capossela, Strinati racconta barzellette, Paffu armeggia ancora col barbecue scottando le ultime cibarie superstiti, Sciama lancia bestemmie e ascolta musica metal al cellulare.

Mi si chiudono gli occhi mentre sento Martina che propone di andare in paese a giocare a carte in piazzetta.

Aiutami ti prego!”.

Riapro gli occhi. Chi ha parlato?

Scatto in piedi e scendo dal tavolino. C’è una figura nell’ombra: è una ragazza. Non riesco a vedere bene il suo viso, ma di certo non è Martina. Ha i capelli scuri, raccolti e indossa una veste bianca come quella di una sposa, che brilla nell’oscurità. Sembra spaventata.

Ti prego, aiutami. Non deve trovarmi!” mi dice con la voce tremante.

Ma chi? Chi non deve trovarti?” rispondo mentre cerco di avvicinarmi per vedere meglio il suo viso.

Aiutami – ripete lei – se mi trova è la fine! E’ la fine!”.

Stai calma”

Devi proteggermi”

Ti proteggo, ma chi è che non deve trovarti?”

Non mi deve trovare! – continua a gridare istericamente la ragazza – Non mi deve trovare! Aiutami! Aiutamiiiii!” e caccia un grido agghiacciante. Così forte da svegliarmi.

Sono ancora sdraiato sul tavolinetto. Davanti a me, una decina di metri più in là, sotto il cono di luce, i miei amici continuano a cazzeggiare, mentre il grido della ragazza risuona ancora nella mia testa.

Per il resto, sento solo il canto dei grilli e il campanaccio, in lontananza, di una mucca o forse di un cavallo, che se ne vanno al pascolo da soli.

Quel sogno così strano e intenso mi ha spaventato. Scendo dal tavolino per raggiungere i miei amici, perché solo immerso nel buio non ci voglio più stare. Ma appena in piedi sento un fruscìo alle mie spalle. Mi giro di scatto. Non riesco a vedere niente, ma qualcosa si è mosso, là nella siepe. Una vipera? Faccio istintivamente uno scatto all’indietro. No, quello che si muove è più lontano, dentro la selva. E più grosso. Cazzo, un cinghiale, penso. O peggio un lupo. No, di lupi ce ne sono pochi, da queste parti, deve essere proprio un cinghiale. Resto impietrito, ma continuo a cercare di vederlo. La curiosità è più forte della paura. Deve essere per forza un cinghiale, ma non sento grugnire; poi un fascio di luce tremolante appare nella macchia.

Cazzo non è un cinghiale, è un cacciatore! E se mi scambia per la preda sono morto. “Chi c’è?” grido istintivamente, per segnalare la mia presenza e far capire suito che non sono fatto di carne suina.

Subito una luce acciecante mi invade la faccia. Nessuno, però, mi risponde. Anzi, la sagoma oscura si allontana subito scomparendo nella macchia.

Dovete sapere che io sono come un cane: scappo se mi insegui, ma ti inseguo se scappi. Anche se sei un bracconiere armato. E pure se me la sto facendo sotto gli vado dietro. Peraltro, non mi piace affatto che ci sia in giro qualcuno di cui non ho visto la faccia ma che ha visto, invece, benissimo la mia.

Cerco di raggiungerlo, ma la luce si spegne immediatamente. Non riesco a vederlo, ma sento i suoi passi e le foglie che si muovono. E anche il suo respiro affannoso. Non dice una parola, ma continua a scappare, e io a quel punto non posso fare altro che inseguirlo: ho l’adrenalina a mille, vado a sbattere ogni momento contro un tronco o contro un ramo, mi faccio largo a fatica tra le frasche, divento indifferente persino alle ragnatele che mi finiscono in faccia. Finalmente grido: “Ragazzi, c’è qualcuno qua! Correte!”, “Sci, inventatene un’altra!” è la risposta che sento, in lontananza.

Continuo quindi da solo il mio inseguimento, ormai sempre più disperato. A un certo punto, però, devono aver capito che non stavo scherzando, perché sento altri passi dietro di me e poi la luce della lampada di Strinati che riesce a illuminare, anche se solo per un secondo, la silhouette del fuggiasco. Accelero, cado a terra, mi rialzo e corro sempre più disperatamente. Poi sento un tonfo. E’ caduto anche lui, mi dico, forse riusciamo a prenderlo. Corro ancora più forte ma inciampo contro qualcosa e finisco faccia a terra.

Sento i suoi passi sempre più lontani mentre Paffu, Sciama e Strinati mi raggiungono con la lampada, seguiti da Bordera e Martina.

Ma che cazzo è successo? – mi fa Sciama – stai bene?”

Che ci stà là per terra?” dico. Strinati illumina l’oggetto su cui sono inciampato. Evidentemente il fuggiasco se ne è liberato quando ha capito che stavamo per raggiungerlo, ed è corso via.

E’ una pala. Una lunga, massiccia e pesante pala.

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